Criminalità e paure superstiziose di Mario Garofalo L'esteso territorio del Montellese, con le sue montagne, i boschi intricati di vegetazione, anfratti e zone rupestri con grotte e bui recessi per animali selvaggi, aveva da secoli costituito un naturale rifugio protettivo e difensivo per briganti e delinquenti ricercati dalla giustizia.
Il brigantaggio era stata gravissima malapianta e fonte di danni per gli abitanti fin dai tempi della dominazione angioina. Nel tempo era andato sempre più intensificandosi, fino ad assumere la connotazione di un fenomeno criminoso a carattere endemico: una cancrena inestirpabile, contro cui le norme repressive del governo e dei baroni (il cui comportamento, per altro, era talvolta, nei confronti dei briganti, ambiguo, contraddittorio ed "interessato") scarso successo riuscivano a conseguire.
Nel Seicento, le precarie condizioni economiche della popolazione, le epidemie, le calamità, il lassismo morale, il malgoverno feudale favorirono uno sviluppo vertiginoso del banditismo e della criminalità comune.
Dalle zone montagnose i banditi scendevano in paese, intimorivano e depredavano, impedivano alle persone di fuoriuscire dai centri abitati per svolgere le attività lavorative e commerciali.
Commettevano impunemente furti, grassazioni, sequestri, stupri ed omicidi, incendiavano i raccolti, rubavano le bestie da lavoro. Si riunivano in piccole bande, spesso costituite da persone del posto, a cui si aggregavano vagabondi e nullafacenti, e talvolta contadini o braccianti, caduti in miseria o per un raccolto distrutto da una grandinata o impossibilitati a saldare debiti usurari, o ricercati dalla giustizia per reati commessi.
Ma la loro azione criminosa mai si configurò come protesta sociale mossa da antagonismo cli classe o da finalità politiche, né come manifestazione cli vendette personali, bensì come mera sete cli denaro e di ricchezze.
Di qui il favoleggiare, nella fantasia popolare, di leggendari "tesori di briganti" nascosti sottoterra o in grotte inaccessibili, come il tesoro della "grotta del caprone", custodito e difeso perennemente dal fantasma di un'anima perduta, costretta ad un'eterna convivenza col demonio.
Particolarmente violente furono le azioni delittuose della banda del capobanclito Micullo Alfano e cli quella di Francesco Corsi o ( detto Vecchiarella) che scorrazzavano con razzie ed «enormi delitti» nelle contrade di Montella e della vicina università cli Bagnoli •
Oltremodo facinorose si dimostrarono nel periodo postpestilenziale le squadre brigantesche del montefuscano Carlo Petrillo e del calabrese Paolo Fioretti, che, per altro, poterono avvalersi della tacita connivenza del barone Antonio Grimaldi interessato a reprimere le resistenze della popolazione angariata dall'imposizione cli straordinarie gabelle ed a restaurare l'ordine preesistente. Petrillo e Fioretti, che congiuntamente avevano formato una numerosa banda, costituita da malviventi, da soldati disertori e da vari masnadieri (circa 160 persone), commettevano razzie, furti e rapine.