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QUANDO SAN FRANCESCO VENNE A MONTELLA Di Carmine Dello Buono

Già nel primo articolo su Montella qui su Irpinia World, e anche successivamente, vi ho citato il Santuario di San Francesco a Folloni. Insieme al Santuario del Santissimo Salvatore (di cui vi ho parlato in un altro articolo che potete leggere cliccando qui) costituiscono i nostri emblemi e i capisaldi della nostra fede e di buona parte della valle del Calore e dell’alta Irpinia.

 da  Irpinia World

Quello che però pochi sanno e che pochissimi immaginano è che il Santuario di San Francesco a Folloni fu fondato proprio dal Santo di Assisi. Oggi scendiamo a Folloni e ripercorriamo la storia ed i miracoli che fecero erigere qui a Montella una chiesa, poi un’altra, e poi un’altra ancora che è divenuta santuario, dedicato al Patrono d’Italia.

SAN FRANCESCO A MONTELLA
Nell’inverno tra il 1221 e il 1222 San Francesco (ovviamente non ancora Santo) si stava recando in pellegrinaggio alla grotta di San Michele (quello che è oggi il Santuario di San Michele sul Gargano) con un piccolo seguito di frati. Fece tappa a Montella dove decise di passare la notte. Si recarono al castello (di cui vi ho parlato nell’articolo che potete leggere cliccando qui) ma il conte non era a casa e il castellano non era autorizzato ad ospitare. Francesco e i “frati” scesero così a valle e si inoltrarono nel bosco di Folloni. Arrivò la notte, una notte gelida, e i ragazzi si ripararono sotto un leccio. La mattina dopo, nello svegliarsi, notarono stupiti che durante la notte c’era stata una nevicata. La neve però non aveva coperto l’albero né tantomeno i futuri frati e il futuro Santo, i quali non avevano patito neanche il freddo.

I RIFERIMENTI STORICI E LA TRADIZIONE ORALE
Ora voi potreste pensare, anche giustamente, che quello che vi ho raccontato sia una leggenda o la favola di un miracolo di dubbia provenienza. Fortunatamente la storia ci ha fornito dei riferimenti a quanto vi ho detto. Tra il 1625 e il 1654 il frate Irlandese Luke Wadding scrive gli Annales Minorum, e leggiamo: “Nevicò abbondantemente quella notte, ma non cadde la neve sopra quell’albero, né dove i frati riposavano. Alcuni uomini che alle prime luci dell’alba passavano di là, attribuendo il fatto a un miracolo, riconobbero l’uomo di Dio e andarono a riferire l’accaduto al signore di Montella”.

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Edicola del Santissimo Salvatore a Toppolo di Panno

Edicola del Santissimo Salvatore a Toppolo di Panno.  L'idea di realizzare un'edicola con la Sacra Immagine del SS. Salvatore è nata nel 2017 quando il compianto Don Raffaele Dell'Angelo insieme a Nadia Marano e alla Pro Loco Montella Alto Calore hanno immaginato come creare un piccolo angolo da condividere con il resto del Paese.  L immagine realizzata da Nadia fu accolta benevolmente da molti cittadini che diedero un impulso e spinsero per la realizzazione di un edicola con l'immagine del Santissimo , proprio a Panno. Nel 2023 finalmente l'opera è stata messa in cantiere dopo aver avuto l approvazione e la benedizione del Rettore del Santuario del SS. Salvatore, Don Andrea.
Il progetto, grazie alla collaborazione del Comune di Montella e il contributo del Comitato del Santuario SS Salvatore, le Confraternite, l'Ordine Francescano Secolare e i residenti e il lavoro gratuito di artigiani montellesi è stato ultimato.
Il 7 ottobre alle ore 18.00 Don Andrea Ciriello, il Sindaco di Montella, la Pro Loco Montella Alto Calore e Nadia Marano invitano tutti i cittadini alla inaugurazione e benedizione della SACRA IMMAGINE. Mostra meno

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È morto Giorgio Napolitano un politico di altri tempi . di Graziano Casalini

E' È morto Giorgio Napolitano un politico di altri tempi . di Graziano Casalini -  Giorgio Napolitano, un importante uomo politico per la sinistra italiana, ma anche per la Repubblica italiana, avendone ricoperto per due volte la carica di Presidente. Uomo appartenente al PCI, e di conseguenza allineato negli anni cinquanta e sassanta alla linea del partito, che riconosceva nell'Unione Sovietica, la guida mondiale per la realizzazione del comunismo. Questa posizione, lo portò a condividere operazioni sbagliate, come l'invasione dell'Ungheria, che purtroppo in quel periodo, la suddetta linea era seguita in maggioranza nel partito. Dopo le varie vicissitudini, e i cambiamenti nel PCI e la trasformazione del nome in PDS e poi PD, con l'ingresso di una parte della ex Democrazia Cristiana, il partito assunse una posizione più moderata, quale maggiore partito della sinistra e dell'Italia, e in questo Giorgio Napolitano si poteva riconoscere, come rappresentante della parte più riformista del partito stesso. E', a mio avviso, il motivo per cui, riuscì ad essere eletto Presidente della Repubblica, espletando in modo esemplare il suo incarico per il periodo previsto. Alla fine, del settennato, non riuscendo i deputati, i senatori, e i rappresentanti delle regioni, a eleggere un nuovo presidente, le fu vivamente richiesto, da tutte le forze rappresentate di accettare di nuovo la sua candidatura, per un successivo incarico, che Napolitano, nonostante l'età avanzata e la situazione politica deteriorata, accettò limitatamente a un breve periodo, in attesa di un miglioramento e il conseguente possibile accordo fra i partiti, per la sua sostituzione. Finì con la sua seconda elezione. Nel suo intervento dopo la votazione, strigliò tutti gli elettori, che non avevano trovato nessun accordo su un altro nominativo. Dopo l'intervento, nonostante, tutti indistintamente lo applaudirono. Quindi un grande uomo politico italiano, da ricordare per la sua linearità politica e per i suoi importanti servigi alla Nazione.

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Simone Merola, un sogno realizzato

Simone Merola è un cuoco italiano con una passione per la cucina che ha iniziato la sua carriera nel settore alberghiero nel 2010, subito dopo aver ottenuto il massimo dei voti come cuoco alla scuola alberghiera di Roccaraso. Dopo aver lavorato come cameriere in un noto hotel a Nyon per 3 anni, ha coltivato il sogno di aprire un ristorante tutto suo, un sogno che ha condiviso con la sua compagna di scuola e di vita, Rossella.

Nel settembre del 2013, il loro sogno si è finalmente avverato quando hanno aperto il loro piccolo ristorante chiamato "IL CAFE DES ALPES" a Prangins, alle porte di Ginevra. Non è stato facile, ma con impegno, determinazione e molti sacrifici, hanno iniziato a farsi conoscere nel mondo della ristorazione.

Nonostante le sfide e il difficile periodo di chiusura dovuto alla pandemia di COVID-19, Simone e Rossella hanno perseverato nella loro passione per la cucina italiana. Dopo 10 anni di lavoro duro, il 8 settembre hanno inaugurato il ristorante dei loro sogni, chiamandolo "La Semplicità", proprio come la cucina che servono: cucina italiana con alcune specialità locali.

Il ristorante si trova in una posizione unica, sul confine tra la Svizzera e la Francia, a Crassier. La loro cucina è stata elogiata già nel 2016 da un noto giornale francese di cucina, che l'ha definita "eccellenza italiana". Simone si occupa della cucina, mettendo in pratica la sua passione e creatività, mentre Rossella gestisce la sala, garantendo un servizio impeccabile.

La storia di Simone Merola e Rossella è un esempio di come la determinazione, la passione e il lavoro duro possano portare alla realizzazione dei sogni. Il loro ristorante "La Semplicità" rappresenta un luogo dove i clienti possono gustare autentica cucina italiana in un ambiente accogliente e unico, al confine tra due culture culinarie affascinanti.

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Lo chef Antonio Lepore, originario di Montella, protagonista di Ischia Safari

Lo chef Antonio Lepore, originario di Montella, protagonista di Ischia Safari . Una vetrina importante per Lepore, chef del “Biohotel Hermitage” e “Stube Hermitage” a Madonna di Campiglio. , Ha scelto di puntare sul rispetto della materia prima, della qualità, della provenienza e l’esaltazione della stessa sono il suo primo intento.  Il 18 Settembre racconterà le sue sue origini irpine all’evento Ischia Safari, dove si cimenterà nell’elaborazione di un piatto, che vede protagonisti i prodotti legati all’irpinia. Qui in collaborazione con il pastificio avellinese “Italia in Pasta”, porterà ad Ischia un fusillo di solo semola Senatore Cappelli.

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Festa della castagna Montella dal 1° al 5 Novembre 2023 Moduli per la partecipazione

𝟑𝟗ª 𝐅𝐄𝐒𝐓𝐀 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐂𝐀𝐒𝐓𝐀𝐆𝐍𝐀 𝐃𝐈 𝐌𝐎𝐍𝐓𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐈𝐆𝐏    𝙳𝚘𝚖𝚊𝚗𝚍𝚊 𝚍𝚒 𝚙𝚊𝚛𝚝𝚎𝚌𝚒𝚙𝚊𝚣𝚒𝚘𝚗𝚎.
La domanda, obbligatoriamente corredata della ricevuta di versamento pena la nullità, va presentata a mano all’Ufficio Protocollo del Comune di Montella in Piazza degli Irpini oppure trasmessa all’indirizzo di PEC Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. entro e non oltre il 5 ottobre 2023.

SCARICA LA DOMANDA , IL DISCIPLINARE, RICHIESTA STAND

 

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Lavori di ampliamento ed ammodernamento del Cimitero di Montella

Lavori di ampliamento ed ammodernamento del Cimitero di Montella Nella giornata di inizio dei lavori di riqualificazione ed ampliamento del cimitero comunale, il sindaco di Montella Dott. Rizieri Buonapane ed il rappresentante legale della “Cimitero di Montella” Scarl Sig. Walter Giordano illustreranno presso la Casa Comunale del Comune di Montella in Via Degli Irpini 1 dalle ore 10:00 i dettagli del progetto di prossima realizzazione.

 

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Mio Nonno Salvatore Del Grosso......Rosaria De Simone

Riceviamo, da Rosaria DE SIMONE, questa foto nella quale, il primo a sinistra seduto è il nonno Salvatore DEL GROSSO di San Simeone.
Dopo aver consultato il nostro esperto in foto antiche possiamo aggiungere che la foto è stata scattata “a lo BAR RE LA MAESTRA”, (tale signora CUOZZO zia di Silvio SANTARELLA), bar che si trovava sulla destra dell’ ingresso di vico Santa Maria di fronte alla Chiesa Madre.
Dalla prospettiva in cui è stata scattata la foto, sullo sfondo, si vede il vecchio comune, dove oggi sorge la biblioteca comunale.
Poggiato allo stipite in travertino dell’ ingresso del BAR si riconosce Raffaele VESTUTO, zio dell’ ex sindaco di Montella, Salvatore.
Raffaele VESTUTO vendeva e riparava scarpe e cuoio ed esercitava alle spalle della statua del Santissimo Salvatore, più o meno dove si trova oggi il circolo PALATUCCI o poco prima.
Il terzo da destra, che rivolge lo sguardo all’ obiettivo, è Silvio DELLO BUONO, calzolaio, poi trasferitosi a Torre del Greco dove faceva il portiere.
La foto è di bassa qualità e non ha permesso al nostro esperto di riconoscere altre persone ?
Mandateci le vostre vecchie foto, saremo felici di pubblicarle. 


RICK

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Ricerco la mia famiglia lettera in redazione di Alessandro Fontana Cappiello

Ricerco la mia famiglia lettera in redazione di Alessandro Fontana Cappiello ......Spettabile Montella.EU,   Mi chiamo Alessandro Fontana Cappiello, mio Nonno Salvatore Cappiello nato il 1° marzo 1923 a Montella era figlio di Pasquale Cappiello (nato a Napoli nel 1892) e di Concetta Barbone (la mia bisnonna montellese, del 1894 figlia di Michele Barbone e Grazia Varallo).
Io purtroppo non ho conosciuto ne mio nonno morto nel 1960 a Lioni (AV), nè la mia bisnonna Concetta Barbone morta suicida sempre a Lioni nel 1960 sotto il treno nei pressi della stazione.
Purtroppo questi fatti tragici hanno distrutto la mia famiglia e si sono perse le tracce, andandosi a sparpagliare per l'Italia.

Sto ricercando la mia famiglia, sono 3 estati che passo da Lioni dove entrambi sono al Cimitero, ed il Signor Gerardo che lavora al cimitero di Lioni, ma è Montellese, mi ha detto di provare a contattare voi oppure i Sig. Tullio Barbone (studioso e storico) e Gerardo Barbone che potrebbero essere miei parenti oche potrebbero avere qualche indicazione al riguardo.

Io sono alla strenua ricerca dei miei parenti e purtroppo sia di mia bis.nonna che di mio nonno possiedo una unica foto quella del cimitero addirittura di mio bis-nonno Pasquale Cappiello che nel 1920 sposò la montellese Concetta Barbone neanche una foto.
Ho visto sul vostro sito anche foto storiche degli anni 30 e 40, se qualcuno riuscisse ad aiutarmi a ricongiungermi con qualche parente dei Barbone, o riconoscere nelle foto uno di loro, e se qualcuno disponesse di qualche foto o di conoscenze sui miei familiari mi farebbe il regalo più grande.

Io vi ringrazio e spero che mi possiate aiutare in qualche maniera, sarebbe fantastico.
Vi ringrazio e vi mando un caro saluto

Alessandro Cappiello

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Ritorno a Montella di Graziano Casalini

Ritorno a Montella di Graziano Casalini - Mancavo da Montella dal 2016, a distanza di sette anni, ho trovato in paese diversi cambiamenti, naturalmente in meglio. Ho soggiornato, solo per quattro giorni, troppo poco il tempo a disposizione, per scoprire e vedere tutto il lavoro che era stato fatto per migliorare l'immagine, l'accoglienza, i punti panoramici, le strutture principali del paese. Oltre a gli importanti lavori strutturali, come la risistemazione e la costruzione di nuovi marciapiedi, in alcune delle principali vie cittadine, ho notato la fine dei lavori, nella nuova bellissima sede municipale, degna di una sempre più moderna cittadina. Sono aumentate di molto le manifestazioni culturali, con abbinati spettacoli musicali, conferenze, dibattiti e presentazione di nuove proposte editoriali. Non ho potuto seguire direttamente, e ne sono dispiaciuto, la lunga serie di eventi, nell'ambito del CONVIVIO AL MONTE, la nuova grande iniziativa organizzata in una delle più belle location di Montella. Sta prendendo campo, con successo, su iniziativa privata, l'accoglienza con visite al cosiddetto Bioparco Rosabella, comprendente aree pic-nic, percorso sul fiume Calore, fino a una delle più belle cascate di Montella, questa realizzazione dovrà in qualche modo favorita, in determinati periodi di maggior afflusso, dell'anno, per quanto riguarda la viabilità, i parcheggi e la raccolta rifiuti, allo scopo, di non danneggiare l'integrità del territorio e soprattutto gli interessi dei cittadini. Belle le FESTE DEI CASALI, a cui ho avuto l'onore di partecipare, quella del Rione Sorbo, nella serata anteprima, con la presentazione del mio libro "RACCOLTA DI SCRITTI SU MONTELLA. EU", festa che ha visti impegnati, sotto la sapiente organizzazione del Dott. Gabriele Marano, gran parte dei sorewesi, con la rappresentazione teatrale " NA IORNATA A SUORIO GRANDE " della Associazione Culturale Delli Gatti, e altre attrazioni musicali e comiche, allargando l'evento al rione confinante Cappella. Importante anche il grande impegno, nel preparare e poi nell'organizzare, per novembre, la SAGRA FESTA DELLA CASTAGNA IGP DI MONTELLA, grandissima manifestazione, da annoverare, come la più importante, del settore, a livello nazionale. Nei pochi giorni, che sono rimasto a Montella, ho visto anche con piacere, alcune delle varie feste religiose, con le processioni a cui, o per la fede, o per tradizione partecipano in massa tutti, queste processioni hanno in se, un aspetto un po' folcloristico, per la grande sfilata delle Confraternite, con i confratelli nei loro coloratissimi costumi tradizionali, e con alla testa gli stendardi con i relativi simboli religiosi e dei vari santi. Importanti, anche le varie celebrazioni che possono ricorrere, come i centenari ( vedi quello di Aurelio Fierro ) e altri illustri montellesi, che nel tempo periodicamente si presenteranno. E poi che dire, Montella merita di più, sempre di più, mi è sembrato che i paesani siano coscienti e convinti nel realizzare e raggiunge gli obbiettivi, che potranno portare la cittadina al livello delle altre simili cittadine del centro-nord, o addirittura a superarle. La volontà c'è, basta assecondarla. Un cordialissimo saluto a tutti i montellesi, al Direttore Vittorio Sica e al suo staff.

Graziano Casalini

 

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Montella,città di Casali tratta dal libro di Mario Garofalo Storia sociale di Montella " IL SEICENTO"

Montella,città di Casali - Chi, oggi, osservasse da una posizione altimetrica il panorama della città di Montella ammirerebbe un vasto ed alquanto compatto agglomerato abitativo, disteso in un ampio fondovalle modellato in diffuse aree collinari, in una zona pedemontana, circondata dai colli Castello, San Martino, Toriello e SS. Salvatore, sovrastati e come protetti dalla maestosa imponenza delle montagne Sassosano e Cervialto. Ma nessuna traccia, seppur labilissima, potrebbe scorgere della secentesca topografia della civitas Montellae, sistematicamente e gradualmente modificata già dai primi decenni dell'Ottocento e, a partire dal Novecento, a seguito della crescita demografica, completamente obliterata, fino alla caotica cancellazione dei centri storici dopo l'irrazionale ed irrispettosa esplosione edilizia del dopo-sisma del novembre 1980.
Tuttavia, una pianta di Montella, risalente al secolo XVII, conservata nell'archivio della nobiliare famiglia locale degli Abiosi, ci consente con straordinaria verosimiglianza di poter ridisegnare ed immaginare la topografia di quel tempo.
Si rileva subito che l'università di Montella, dissimile in questo da quasi tutti i paesi del Principato Ultra, non aveva le caratteristiche urbanistiche del borgo, sviluppatosi a partire dal Medioevo: non circondata da mura, né organizzata intorno alla residenza del feudatario o alla cattedrale.
Si presentava dislocata in diversi nuclei sparsi, detti casali, che erano, probabilmente, insediamenti derivanti dai modelli abitativi delle popolazioni irpine e dei contadini romani: i vici.
Originariamente i casali erano minuscoli agglomerati generalmente a base agricola ed economica autosufficiente. Formati da un esiguo numero di case, ciascuna posta in mezzo a terreni coltivabili (territorio di pertinentia), cominciarono a formarsi quando le condizioni storiche poterono assicurare una relativa tranquillità esistenziale nelle campagne, permettendo alla popolazione di lasciare le antiche dimore a ridosso del Monte, scelte come luoghi di arroccamento e di difesa nelle vicinanze del Castello, e cercare a valle nuovi terreni da mettere a coltura, spinta dalle impellenze dell'espansione demografica verificatasi tra l'IX e il X secolo. Furono, inizialmente, degli aggregati rustici. Con la istituzione e la nascita dell'università a partire dal secolo XII si avviarono sempre più verso un accrescimento numerico ed una pressoché uniforme conformazione geometrica, che appariva ormai tipica e consolidata già dal XIV secolo in età angioina: una topografia caratterizzata da un policentrismo urbanistico e dall'assenza di mura, con agglomerati abitativi costituiti da fabbricati che si accentravano in maniera abbastanza fitta attorno ad una chiesa o contornanti piccole corti, cui si poteva accedere da un unico ingresso ad arco, che ne preservava la tipologia "chiusa" e la "inattaccabilità" dall'esterno.
Le case rispecchiavano la tipologia cosiddetta "italica", prevalente nella civiltà contadina: una struttura edilizia unifamiliare su due piani, con pianta per lo più rettangolare e con tetto a pioventi poco inclinati.
Nel corso del Seicento, in prosieguo di uno sviluppo edilizio già in atto nella metà del Cinquecento, si andavano mutando l'habitat e la forma urbis.
Accanto alle semplici e modeste abitazioni dei ceti popolari e contadini si ergevano le dimore signorili, le case palazziate delle famiglie aristocratiche e della borghesia possidente, ubicate in siti strategici dei casali, le quali, unitamente alle nume­ rose strutture edilizie ecclesiastiche, ridisegnavano lo spazio fisico del paese, assumendo al contempo la simbolica presen­ za di un potere sociale ed economico che finiva con l'instaurare un rapporto di patronage sulle classi meno abbienti e, in definitiva, un rapporto di «subordinazione di frange di popolazione verso singole famiglie patrizie», impegnate a consolidare il proprio potere locale attraverso la «partecipazione all'amministrazione civica, il controllo delle cariche pubbliche, della finanza locale e di tutte le principali forme di protezione economica e commerciale». Erano già esistenti i palazzi signorili di famiglie nobili o benestanti e socialmente influenti, come Abiosi, Capone, Boccuti, Lepore, Delli Bovi, Cianciulli, Palatucci, Pascale, Volpe, Vernicchi; più tardi sorgeranno quelli dei Trevisani, Bruni, Carfagni, Gambone, Marano, Motta, Coscia.
In questo processo di aristocratizzazione dello spazio il ruolo preminente era rappresentato dal palazzo baronale, ormai insediato - dopo l'abbandono del Castello del Monte già diruto - nel centro urbano, nella zona bassa del paese, in uno spiazzo denominato originariamente Piazzile di Corte, il quale con la sua imponenza, la sua inaccessibilità, la sua magnificenza veniva visto non più come luogo di riparo, di accoglienza e di difesa (come il Castello medievale) bensì come segno di un dominio, come muta presenza di un potere coercitivo.
In un documento del 1613 ne viene descritta e decantata la sua grandiosità: “l'abitazione di detto barone è situata in un piano, consistente in un cortile grande murato con 2 gradiate, una di essa a mano destra, per la quale si sale sopra un corridore coperto, che gira attorno tutto lo palazzo predetto, sino all'altra gradinata; e da detto corridore s'entra in una sala bella e gran­ de, in piano della quale vi sono tre camere grandi et tre mediocri, et una torretta, tutte intempiate, dove stanno coperte di scandole; et sotto di esse vi sono cocina, cantina per conservare vino, stalle, magazzeni per conservare et altre comodità. A mano sinistra l'altra grada, per la quale s'implana al corridore medesimo, dove si trova un altro partamento antiquo, con una sala, quale si cerca accomodare, et più camere, divise in camerette, coverte similmente a scandole. In testa di detto palazzo è lo giardino murato fruttato di diversi frutti, per comodo di detto palazzo. Accosto di detto palazzo e giardino vi è un altro giardino grande, con molti piedi di di­ verse pera bellissime, tra le quali vi sono le pere boncristiano, ed altri frutti bellissimi•”

Alquanto imponenti apparivano anche le case palazziate dell'aristocrazia terriera e nobiliare, le quali, pur conservando una essenzialità e severità di linee, tentavano di emulare lo "spagnolesco" gusto barocco delle sfarzose dimore della capitale partenopea, dove essa aveva talvolta altra residenza familiare. Costruite su due livelli, annoveravano decine di stanze. Dopo l'ingresso, con portale sormontato dallo stemma gentilizio in pietra scolpita, si dischiudeva il cortile, solitamente coperto, di forma quadrata, pavimentato con ciottoli di fiume o basoli resistenti al traffico di animali e carrozze, che immetteva nel giardino interno ricco di fiori e frutti. Al piano terra si aprivano sulle ali gli ambienti di servizio: cantine, rimesse, stalle, fienili per i foraggi, cisterne, magazzini, cucine con focolari, lavatoio e "formali" per il rifornimento dell'acqua e ripostigli ricavati nella spessa muratura di tufo. Al centro dell'atrio uno scalone in pietra portava al piano superiore adibito a residenza.
Gli appartamenti (i quarti o quartini) erano costituiti da un salone centrale comunicante con la cucina e la dispensa e con accesso alle camere da letto. Le stanze, con pavimento in riggiole in cotto, lucidate con cera e grassi per ravvivare l'argilla, avevano soffitti a volta o piatti. Le camere, quasi sempre, erano infilate l'una nell'altra. C'erano lo studio-biblioteca con alte librerie in legno e grande scrivania, dove facevano bella mostra fermacarte, calamai e penne d'oca finemente lavorati; c'era talvolta la cappella di famiglia con altare in stucco. Diffusi erano divani e poltrone di legno imbottiti, e tavolini rettangolari (boffette) sormontati da grandi specchi o da quadri raffiguranti antenati del casato o scene mitologiche.

Dal cortile si poteva accedere attraverso un cancello al grande giardino recintato, solcato da viali ed ornato di piante, fontane, tavoli e sedili in pietra sotto ombrosi chioschi: il palazzo, cioè, inteso come piccolo mondo chiuso ed autosufficiente, vivace e laborioso, nel quale si affaccendavano servette addette a rassettare, stirare, cucinare; garzoni per spaccar legna, tra­ sportare derrate di lunga conservazione e cesti colmi di masserizie provenienti dalle terre di proprietà o recapitare private missive; giovani addetti ai cavalli e alla manutenzione di carri e carrozze.
Le case del popolino, dei contadini e dei poveri artigiani nella loro sobria e semplice struttura rispecchiavano l'umile e faticoso tenore di civiltà dei suoi abitanti.
Edificate pietra su pietra con malta di arena di fiume (in altre province limitrofe veniva ancora usato il loto), al pianterreno (sottano) avevano il locale rustico (catuoio), stalla, fienile, porcile o bottega; al primo piano (soprano) l'abitazione, cui si accedeva per mezzo di una scala esterna solitamente fornita, al termine superiore, di una loggetta o balcone sporgente, privi di ringhiera di protezione.
La vita quotidiana della famiglia si svolgeva in una o tutt'al più due stanze: cucina e dormitorio. In cucina minimi ed essenziali l'arredo e le suppellettili. Al centro una tavola piallata di pioppo fungeva da desco e banco di lavoro. Il focolare, con o senza canna fumaria, addossato ad un muro era contornato da qualche scranno o da cilindri di legno come sedili (zizzi) e da una cassapanca contenente legna da ardere. Veniva utilizzato come posto di cottura. Poche persone avevano una cucina realizzata in pietra, con al massimo due fuochi, sotto i quali veniva ricavato un piccolo spazio per la legna o il carbone. Appesa qualche fuligginosa scansia dove venivano riposte indispensabili derrate, come farina, olio, sugna, farina, aceto, vino, sacchetti di legumi. In qualche angolo erano alloggiati un braciere di stagno e una sorta di cesta di legno dolce a larghe maglie capovolta per asciugare i panni (asciuttapanni). Pochissime le stoviglie, che solitamente venivano portate in dote dalla sposa: una caldaia grande (caorara), una piccola, un tegame (sertania), una cocchiara, un bollilatte d'argilla (pignata), alcuni bicchieri di legno o terracotta (il vetro era un lusso), qualche tovaglia.
In un'altra stanza un sesquipedale letto occupava quasi tutta la superficie della camera.
La lettiera era costituita da quattro o cinque tavole di pioppo poggiate su due cavalletti di ferro, sulle quali era posizionato il materasso composto da un saccone di stoffa ripieno di foglie di granturco. Il materasso con imbottitura di lana era privilegio di classi benestanti; era un bene portato in dote e lasciato in eredità.
Nel letto trovavano posto i genitori ed i figli più piccoli. Nelle famiglie numerose gli adulti, quando non avevano la disponibilità di un secondo letto, erano costretti a dormire nella stalla, dividendo lo spazio con qualche animale domestico.
A lato del letto, in un'apposita nicchia scavata nella muratura, erano poggiate una bugia con stearica per la notte e l'immancabile coroncina del rosario; a capo, in alto, un quadro raffigurante la Madonna con Bambino; sotto l'indispensabile cantaro per i bisogni corporali (orinale), a lato una cassa di legno contenente la biancheria.
Nelle case non esistevano bagni. I bisogni fisiologici si espletavano all'aperto, dietro cespugli od anfratti nelle vicinanze dell'abitazione o nel cantaro, che di notte veniva normalmente svuotato in strada dalle finestre, così ammorbando ancor più l'aria e le teste di malaccorti passanti. Solo nelle dimore signorili o in case con terreni di proprietà esistevano pozzi ciechi scavati negli orti, che venivano periodicamente nettati da persone addette a questo «inverecondo» lavoro.

Per lo smaltimento delle acque nere e dei liquami urbani non esistevano cloache o fognature. Venivano regolarmente gettati in strada e si incanalavano in corsi acquosi «puzzolenti, perniciosi per le esalazioni che emanavano», che invadendo le vie (non tutte selciate bensì «petrose, penninose e brecciose») le tra­ sformavano, specie nelle giornate piovose, in canaloni fangosi a cielo aperto, formando laghetti, transitabili solo a dorso di asino o di mulo, con carrozze o lettighe o servendosi, dietro compenso di qualche grana o tornese, dei cosiddetti passalava, persone nullafacenti che trasportavano a braccia chi voleva attraversare la strada. Nonostante le severe disposizioni emanate dall'università per il deposito delle immondizie in appositi spazi palizzati, spesso i rifiuti venivano lasciati per giorni in strada al sole e alla pioggia, per cui, solidificatisi o divenuti melma, si stratificavano. Il sindaco finiva col dare ad appaltatori privati la raccolta del letame, che veniva venduto come concime o come materiale edilizio.
Nella zona centrale del paese si apriva la Piazza Maggiore, nel casale detto Li Favali, luogo di rapporti comunitari, di ritrovo e di socializzazione. Nel largo «con arbore di teglia ed olmo, con botteghe ed artigiani» era situata la chiesa madre Collegiata di Santa Maria del Piano, affiancata dalla tozza torre campanaria di due piani di recente costruzione, dotata di due campane, una delle quali serviva da orologio. Le campane scandivano i tempi della vita religiosa e del lavoro, annuncia­ vano le feste e i funerali; ritmavano le ore del mattutino, del pomeriggio, della controra e del vespro.
Dirimpettai sorgevano i locali del carcere e quelli del pubblico Parlamento, nel cui ingresso era situata la campanella per convocare i cittadini nelle occorrenze delle assemblee del popolo.
A sud, adiacente al ponte detto della Lavandara, sul fiume Calore, sorgeva il mulino comunale fatto costruire dal conte Garzia Cavaniglia fin dal 1564•
Straordinaria la presenza nell'università delle chiese: 17 edifìci di culto, un numero che non trovava riscontro in alcun paese di Principato Ultra.

Chiese nel sec. XVII:
1. Santa Maria del Piano (Collegiata)
2. S. Benedetto
3. S. Giovanni
4. S. Nicola
5. S. Michele Arcangelo
6. Santa Lucia
7. S. Silvestro
8. Santa Maria la Libera
9. S.S. Annunziata
10. Santa Maria del Carmine
11. S. Antonio Abate
12. S. Leonardo avanti Corte
13. Santa Maria Visita Poveri
14. Santa Maria del Monte (detta della Neve)
15. S. Francesco a Folloni
16. S. Vito
17. S. Pietro

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"Catturando la Fede e la Bellezza: Le Avventure di Riccardo Cianciulli a Montella di Vittorio Sica

Riccardo Cianciulli, un giovane appassionato di streaming, riprese fotografiche e devoto del Santuario del Santissimo Salvatore a Montella , aveva deciso di creare un documentario per catturare la bellezza del suo amato luogo di culto e la pittoresca cittadina circostante. Appassionato di riprese, Riccardo non perdeva mai l'occasione di trasmettere in streaming le messe direttamente dal Santuario.
Un giorno, mentre era intento a filmare un'affascinante inquadratura del Santuario del Santissimo Salvatore, inciampò su una pietra e cadde malamente. La sua telecamera volò via e finì per atterrare nell'ampia scala  del piazzale. Disperato, Riccardo si precipitò a recuperarla, ma la telecamera sembrava essersi danneggiata irrimediabilmente.
Con un'espressione di sconforto, si sedette su una panchina nelle vicinanze, guardando la sua preziosa telecamera ormai danneggiata. Proprio in quel momento, un anziano signore si avvicinò e chiese gentilmente cosa fosse accaduto. Riccardo raccontò tutta la triste vicenda, sottolineando quanto fosse deluso.
Il signore prese la telecamera tra le mani, la osservò attentamente e la aprì con cura. Miracolosamente, la telecamera si riavviò e iniziò a funzionare nuovamente! Sorpreso e grato, Riccardo chiese al signore come avesse fatto.
L'anziano sorrise affettuosamente e disse: ". Ho imparato che le cose possono sembrare peggio di quanto siano in realtà. Basta un po' di pazienza e dedizione per farle tornare in forma."
Riccardo ringraziò il signore con entusiasmo e tornò al suo lavoro, riprendendo il suo documentario sul Santuario e la città di Montella . Da quel momento, ogni volta che affrontava una sfida tecnica, pensava all'anziano signore e al suo prezioso insegnamento sulla perseveranza e l'amore per ciò che si fa.
Il documentario di Riccardo Cianciulli sul Santuario del Santissimo Salvatore e Montella divenne un grande successo, non solo per le immagini spettacolari e le dirette streaming delle messe, ma anche per la lezione di vita che aveva imparato grazie alla saggezza dell'anziano signore.

Una fantasiosa storia dedicata al mio amico Riccardo

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L’arte di “Figaro” e i barbieri di in un tempo lontano a Montella di Nino Tiretta

Il più famoso barbiere della storia, forse mai esistito in realtà, è Figaro, personaggio principale della famosa opera lirica “Il barbiere di Siviglia” di Gioacchino Rossini e delle “Nozze di Figaro” di Mozart per cui è grazie a queste popolari opere musicali che il termine “figaro” è divenuto sia un modo largamente diffuso per indicare questa professione sia un modo scherzoso, bonariamente ironico, per definirlo.
Tutti, comunque, sanno che il “barbiere” è l'addetto al taglio dei capelli e alla rasatura della barba ed è altresì noto che il lavoro di questo artigiano si svolge ordinariamente in bottega - detta comunemente “barberia” o anche “salone” – e che, in caso di necessità e su richiesta del cliente, il barbiere può intervenire anche a domicilio.
Quello del barbiere è , comunque, un mestiere antichissimo, ha origini “preistoriche” ed è universalmente noto che i barbieri, in un tempo lontanissimo, erano anche in grado di praticare piccoli interventi chirurgici, di fare un salasso, di eseguire l'estrazione di un dente nonché di svolgere le funzioni di cerusici,
Alcuni studi storici sostengono che già nell’era del Paleolitico inferiore colui che tagliava i capelli era persona appartenente ad un alto rango sociale, pari e quello dei saggi e dei sacerdoti.
Si credeva che nei capelli risiedesse l’anima del popolo per cui, tagliarli, significava simbolicamente spazzare sia il male accumulato sia ritrovare nuove energie.
I barbieri erano, dunque, persone riverite, rispettate e rispettabili.
Molti ritrovamenti archeologici nell’antico Egitto (risalenti al 3500 A.C.) testimoniano di pietre aguzze considerate utensili da barbiere.
La storia dei barbieri ha comunque avuto una lunga e costante evoluzione peraltro assai evidente nell’analisi degli “usi e costumi” degli antichi greci e romani.
Di fatto, è storicamente noto che furono proprio i romani ad “adottare la consuetudine” ad essere sempre rasati e ad avere i capelli a posto, ma solo perché essi avevano, di fatto, subito l’influenza ellenica.
Nell'antica Roma colui il quale svolgeva le funzioni di barbiere era denominato “tonsore“ ed era preposto sia all’azione per il taglio della barba sia a quella di parrucchiere per le acconciature dei capelli.
In quell’epoca il barbiere, privato e costoso per i più ricchi o pubblico nella sua bottega o all'aperto in strada, tagliava capelli e sistemava barbe e specificatamente già nel II secolo d.C. sussisteva - per i romani più raffinati - l'esigenza di recarsi più volte al giorno dal barbiere.
Nei suoi “Epigrammi” Marziale e Giovenale nelle sue “Satire” descrivono le botteghe dei barbieri (denominate “tonstrine”) come luogo d'incontro per oziosi, in cui c’era scambio di pettegolezzi nonché scambio di notizie, insomma un vero e variegato salotto di varia umanità, tanto che anche diversi pittori, dal secolo di Augusto in poi, ne fecero oggetto dei loro quadri così come già avevano fatto gli Alessandrini.

Nel primo periodo dell’Impero Romano, esattamente dal 296 A.C., con il sopraggiungere a Roma e nel Lazio della “gente barbara” e “straniera” si diffuse la moda di barbe e capelli lunghi per cui si ampliò, di molto, la diffusione e l’introduzione di vere e proprie “barberie”.
Come testimonia lo “scritto” di un senatore romano, la bottega del “tonsor” era così organizzata: tutt'intorno alle pareti girava una panca dove sedevano i clienti in attesa del loro turno, alle pareti erano appesi degli specchi sui quali i passanti controllavano la propria condizione “pilifera”, al centro della bottega vi era uno sgabello su cui sedeva il cliente da riordinare, coperto da una salvietta, grande o piccola, oppure da un camice (involucrum).
Attorno al cliente di turno si affannavano il “tonsor” e i suoi aiutanti (circitores) per tagliare o sistemare i capelli secondo la moda che in genere era quella dettata dall'imperatore in carica.
Forse fu dalla dimestichezza nell’uso dei rasoi e delle “cesoie” che derivò, dall’epoca del primo cristianesimo, la consuetudine, da parte dei barbieri, di offrire, oltre ai i servizi di taglio di capelli e di rasatura, anche alcune prestazioni chirurgiche.
Tra queste vi era il compito di effettuare salassi al fine di togliere le “impurità dal sangue.
Come già s’è detto prima, nell’antichità e con molta consuetudine dalla fine del diciannovesimo secolo in poi, il salasso era una pratica medica assai diffusa; tale azione consisteva nel prelevare (con l’applicazione anche di sanguisughe) quantità spesso considerevoli di sangue da un paziente alfine di ridurre l’apporto di sangue nelle arterie.
Tra le altre funzioni mediche i barbieri inglobavano anche l’estrazione dei denti, l’unica cura dentistica rappresentativa di quei tempi; inoltre i barbieri effettuavano clisteri ed incisioni di pustole e bolle varie, procuravano erbe ed altri medicamenti ai malati e ai feriti per cui quei barbieri, in quel tempo e in quelle circostanze, divennero noti come “barbieri-chirurghi”, assai ricercati tanto per i loro servizi di “barbatonsura” quanto per le loro competenze mediche.
In Inghilterra la figura dei barbiere era addirittura riconosciuta pubblicamente come qualificata tant’è che i barbieri ricevettero paghe abitualmente più alte dei chirurghi effettivi.
È di quel periodo la nascita di quello che fu per anni il simbolo e l’insegna dei negozi di barbiere vale a dire il bastone rotante a strisce rosse e bianche, che simboleggiavano la chirurgia (le rosse) e l’arte del barbiere (quelle bianche).

Con il tempo e il progredire delle competenze e delle esigenza mediche, vennero promulgate delle disposizioni legislative finalizzate a ridurre considerevolmente i servizi medici che i “barbieri-chirurghi” potevano assicurare; inizialmente fu comunque permesso loro la sola pratica dei salassi unitamente a quella della estrazione dei denti.
Successivamente anche queste ultime attività vennero loro precluse anche se, di fatto, la rimozione dei denti continuò ad essere praticata fino al XIX secolo e in alcuni casi fino agli inizi del secolo XX.
Fu così che, in Gran Bretagna, fino al 1745 le corporazioni di chirurghi e le corporazioni dei barbieri lavoravano insieme, poi - per volere di re Giorgio II – ebbe luogo la divisione che separò, di fatto, le due “gilde”. La professione di barbiere fu così ridotta solo alla cura dei capelli e della barba.
Analoga decisione prese poi re Luigi XIV di Francia, con conseguente e progressiva perdita di prestigio della professione in quella nazione e in tutte le altre d’ Europa tant’è che da allora i barbieri persero, in modo inconfutabile, la possibilità di effettuare quelle “pratiche mediche” e vissero, per un certo periodo, una fase in cui la loro professione era guardata con scherno, giacché i barbieri erano considerati individui dalle scarse capacità.
Fu comunque tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo che la bottega del barbiere divenne nuovamente un elemento importante per la comunità tanto è che in quel periodo si ritrovano barbieri in tutte le città e in tutte le piccole comunità, e le catene di negozi di barbierie cominciarono ad essere inaugurate.
I barbieri recuperarono il loro prestigio sociale e la loro attività ebbe una rinascita gloriosa, che per altro, motivò la ricerca di nuovi standard e regolamenti per rendere la professione più affidabile e prestigiosa.
Fu da quel periodo che gli uomini “ripresero” la consuetudine di frequentare i “saloni” dei barbieri, per rilassarsi e per godersi il lusso di una rasatura effettuata da un esperto barbiere il quale usava un profumato sapone e un pennello da barba, con grande delicatezza e talento e contestualmente era bravissimo nell’uso di un rasoio a mano libera.
La bottega del barbiere divenne anche un luogo dove gli uomini della comunità si riunivano per giocare a dama, a scacchi, dove si strimpellava qualche strumento musicale e si “faceva musica”, si raccontavano le ultime notizie, si discuteva dei raccolti, del prezzo delle sementi e in cui si parlava degli eventi più recenti.
Come in tantissimi centri abitativi d’Italia, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, anche a Montella le botteghe dei barbieri erano presenti in numero consistente e, di fatto, la professione del barbiere era un’attività largamente praticata,
Al tempo della mia lontana infanzia - negli anni “45-50” - ricordo che in paese funzionavano diversi “saloni”, per lo più concentrati in piazza Bartoli e in altre strade assai adiacenti.
Proprio all’inizio di Piazza Baroli, nel locale posto ad angolo, all’attuale civico numero uno, in quegli anni remoti vi era il “salone” di Luigi Savino, un “omone” dalla personalità assai ironica, allegra e cordiale il quale faceva anche l’orologiaio.
Nelle vicinanze, attiguo al Bar Scandone, c’era poi il barbiere Alfonso Sica dal carattere affabile e di molto gentile.
Era il mio barbiere e mi recavo dunque da lui, periodicamente, per il taglio dei capelli.
Ricordo che nella sua bottega erano, collocati su una mensola posta tra i due specchi centrali, dei capienti “boccacci” di vetro coperti con una tela poco fitta e colmi di acqua e di tante, tante sanguisughe.
Alfonso, come mi ha confermato il suo nipote Renato, era l’unico barbiere montellese in grado, su richiesta di un medico, ad applicare le sanguisughe, a domicilio, sia per ictus sia per altre necessità cliniche. Renato mi ha spiegato che le sanguisughe provenivano dal foggiano e il nonno, per lo più, le conservava a casa, in grossi vasi di gres, contenenti argilla umida ed acqua, anch’essi ricoperti con una tela.
Luigi Sica, parente di Alfonso, era anch’egli barbiere; era amichevolmente denominato “Presutto” e aveva la sua bottega accanto all’allora “Bar Cuozzo”, quello della “Maestra”, vale a dire nel locale dove oggi c’è l’edicola di giornali di Matteo Cianciulli.
Peppo Ginelli aveva invece la sua bottega in un locale distrutto dal sisma del 1980 che era attiguo all’attuale Biblioteca Comunale; quella bottega di barbiere fu chiusa allorquando il titolare emigrò, con l’intera famiglia, negli anni “50”, negli Stati Uniti e fu riutilizzata come “salone”, molti anni dopo, negli anni 70-80, da Fernando Iannella.
Sempre negli anni “45-50” lungo l’attuale via del Corso, in uno dei locali ove è allocata l’attuale “Farmacia SS. Salvatore”, la professione di barbiere era esercitata da Ferdinando De Stefano, detto “Nannuccio”, il marito di Flora Bettini e dunque il padre del mio amico d’infanzia Arnaldo.
Di contro nei locali dove è oggi ubicata la Farmacia Moscariello, negli anni in argomento, l’attività di barbiere era svolta da Angelo Vernacchio, un barbiere serio e abbastanza schivo.
Negli anni “60-70” il numero dei barbieri si incrementò, sia per inizio di attività, sia per subentro professionale e sia per naturale “ricambio generazionale”.
Fu così che al barbiere Alfonso Sica subentrò il figlio Vincenzo il quale, dal 1952, integrò la sua attività con la vendita di quotidiani, giornali e riviste varie divenendo, conseguenzialmente e suo malgrado, concorrente di Orazio Fierro, vale a dire l’altro ed unico edicolante di quel tempo.
Al barbiere Luigi Savino subentrò il figlio Pasqualino il quale tenne in esercizio il salone fino a quando, in anni susseguenti, emigrò, anch’egli in cerca di migliore fortuna, in Canada.
Di fronte alla mia abitazione, in uno dei locali del palazzo Cavallo, Mario Gambone proprio agli inizi degli anni ’70 iniziò la sua attività di barbiere.
Era semplicemente denominato “don Mario”, era appassionato di calcio e possedeva un carattere molto gioviale per cui molti giovani montellesi divennero da subito suoi fedeli clienti.
Anch’io divenni suo cliente, sia per comodità di vicinanza abitativa e sia per simpatia.
“Don Mario” è stato il mio “figaro” fino al 2002, vale a dire fino a quando ha lasciato la sua attività. Con lui ho tutt’ora un rapporto di amicizia e di stima anche perché egli è, per altro, uno dei miei ultimi e preziosi referenti per il riscontro per alcuni argomenti su cui scrivo
Ritornando ai barbieri ricordo che, nello stesso periodo, al Riarboro, Pasquale Vitale aprì un nuovo salone ma, in relazione forse ai pochi clienti trasformò, nel giro di qualche anno, la sua attività di barbiere in quella di “parrucchiere per signora”.
In quella stessa “epoca”, al termine dell’attuale via Filippo Bonavitacola e l’inizio di via F. Cianciulli il giovane (allora) Luigi Lepore aprì il suo negozio di barbiere per lunghi anni in attività ed assai frequentato. Luigi ebbe diversi apprendisti e uno di questi, Vincenzo Vitale, avviò un negozio, tutto suo, negli anni 70-75 in un locale quasi attiguo a quello del suo “mastro”.
Lungo via del Corso quando “Nannuccio” De Stefano andò in pensione suo figlio Cesare non volle continuare l’attività del padre prediligendo, con la sorella Teresa, fare anch’egli il “parrucchiere per signora”, esercitando tale attività presso la sua abitazione, di fronte alla Chiesa di Sant’Anna.
Nello stesso periodo iniziarono la loro attività di barbieri anche i fratelli Ernesto ed Aurelio Clemente i quali intuendo l’esigenza delle donne montellesi, convertirono, parallelamente a quanto fatto da Ernesto Sesso, la loro attività di barbieri in quella di “parrucchieri per signora”. Di fatto Ernesto è stato, coadiuvato da sua moglie Tittina, il primo parrucchiere montellese ed aveva il suo “laboratorio” in Via del Corso, in un locale dell’”americano”, di fronte al palazzo Marinari,
Ad Angelo Vernacchio, lungo la Via del Corso subentrò il figlio Salvatore il quale era soprannominato “Pinocchio” e restò in “servizio” fino agli anni “70”.
Ad Angelo Vernacchio subentrò poi Antonio Giannotti che proveniva da Battipaglia, in provincia di Salerno, dove aveva appreso e già svolto quell’attività. Antonio Giannotti fu, a onore di cronaca, un barbiere innovativo e “rivoluzionario”, nel senso che fu il primo barbiere montellese ad impiegare nuove tecniche nel taglio dei capelli e ad inserire la consuetudine del lavaggio dei capelli.
Per altro in quel periodo Antonio fu il primo ad esigere un “tariffario” motivato ed articolato per cui, all’epoca, per fare “una barba” si spendevano 250 Lire (pari ad € 0,13), per il “taglio di capelli” 1.000 Lire (€ 0,52) e per “shampoo e capelli” Lire 1.500, meno di un euro attuale, vale a dire …...... solo 0,77 centesimi di euro !!!!
In fondo alla via del Corso, nei pressi dell’allora “Bar Dello Buono”, Erminio Dello Buono, sempre in quel periodo, aprì un negozio da barbiere; egli era fratello di Leopoldo (che all’epoca gestiva una salumeria) e di Carmelino vale a dire il gestore dell’omonimo Bar. Assai intraprendente, Erminio, successivamente - ampliò il suo negozio annettendovi un servizio di “docce pubbliche”, con acqua calda, assicurata tramite una caldaia alimentata a legna.
Infine un altro negozio di barbiere fu avviato, a Fontana, da Salvatore Volpe, detto “Biasiello” il quale, dopo qualche tempo, lasciò quell’attività ed aprì una salumeria, assai nota e di lunga funzionalità.
L’elenco dei barbieri potrebbe ancora continuare ma non sono in grado di ampliarlo ulteriormente giacché la mia memoria, offuscata dall’età, ha difficoltà a “mettere a fuoco” altri nominativi.
Ho anche consapevolezza che, nel ricordare i barbieri innanzi elencati, ci sono sicuramente delle omissioni e delle imprecisioni dovute per lo più ai non sempre facili “riscontri di ricordi e di memoria” con i miei coetanei, ma l’elenco di quei lontani barbieri ha un suo valore e sta a significare che, ai tempi della mia infanzia, a Montella erano molti i barbieri in attività e dunque questa “professione” costituiva, unitamente a tantissimi altri mestieri, un elemento importante, un simbolo della civiltà della Montella di quegli anni lontani.
Al pari delle altre e molteplici attività artigianali praticate allora, quella del barbiere era un mestiere dignitoso e al tempo stesso modesto, che non assicurava grandi guadagni tant’è che, in quegli anni passati il barbiere, il più delle volte, era obbligato a svolgere, contestualmente, una seconda professione: ordinariamente quella dell’orologiaio o anche quella del sarto

C’ è comunque da dire che negli anni della mia infanzia, il lavoro del barbiere, come già detto, era assai diffuso e, rispetto a quello attuale, molto più semplice tant’è che gli arnesi, con i quali i barbieri lavoravano, si riducevano a pochi pezzi: il pennello da barba, il sapone, qualche rasoio, la pietra di allume, eventualmente la pietra per affilare – unitamente alla “strappa” di cuoio - i rasoi stessi, un pettine, un paio di forbici, la “tosatrice” che serviva per eseguire tagli di capelli a mano, una boccetta (contenete alcool) con pompa a spruzzo, cipria e a concludere: la spazzola per eliminare i residui capelli tagliati.

Ordinariamente gli elementi indispensabili per un negozio di barbiere includevano poltrone, specchi, mensole, sedie per i clienti in attesa, uno o due lavandini e qualche mobiletto in cui riporre tovaglie e prodotti vari; non vi erano dunque inclusi né lavandini, con acqua corrente, per il lavaggio dei capelli, né carrellini portaoggetti, né registratori di cassa, insomma niente di quando si vede, oggi, nei negozi denominati sia “Salone di bellezza unisex” o sia “Centri di “hayr stylist” che poi altro non sono che i soliti ……..negozi di parrucchieri e di acconciatori di capelli.

In altre parole: “una volta c’era il barbiere adesso c’è l’hair stylist, un po’ come dire che “un tempo c’era il cuoco ed ora c’è lo chef” ! .

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Un momento di gioiosa convivialità che farà bene al corpo ed allo spirito.

Nessuna prenotazione, basta presentarsi in orario all’ appuntamento.

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