E’ a tutti noto che anche a Montella il termine dialettale “ciuccio” designa l’asino, vale a dire quell’animale che, nella società contadina meridionale del secolo scorso, era molto utilizzato.
Molto affine al cavallo, l’asino fu addomesticato dai sumeri verso il 3.000 a.C.
Per le sue caratteristiche era assai diffuso e utilizzato soprattutto in agricoltura e, per tale motivo, era definito “il cavallo dei poveri”.
Era apprezzato per la forza, la pazienza e la resistenza; perché, con piede fermo e saldo, era capace di posare gli zoccoli su terreni sassosi e impervi e rendeva preziosi servizi là dove il cavallo, molto più esigente, non avrebbe potuto vivere.
Veniva adoperato anche per il tiro di piccoli carretti, per il lavoro agricolo e, al tempo della mietitura e della vendemmia, per il trasporto di grano e di uva.
Serviva anche per azionare le macine dei mulini e per trasportare, con l’uso del basto, sacchi di castagne, legna, “fascine” nonché carichi di vario genere, soprattutto su terreni di grande pendenza e difficilmente percorribili.
Per queste specifiche finalità, come a tutti gli animali da soma, anche all’asino veniva legata (con robuste cinghie) sulla schiena la “varda” che (fatta da un sellaio con legno, cuoio e pelli) funzionava per l’aggancio – tramite funi – dei sacchi, della legna e, come s’è già detto, per i carichi di vario genere.
Fino agli anni ’70, per vecchia tradizione, moltissime famiglie contadine montellesi possedevano un asino che veniva custodito gelosamente in vista soprattutto dei lavori autunnali come la raccolta, sulle impervie pendici delle nostre montagne, delle castagne nonché per il trasporto di legna e anche per quello dei pesanti sacchi di grano ai mulini.
L’assenza di un asino in una famiglia di contadini significava una mancanza grave e spesso si era obbligati, come mi ha ricordato Ciccio Giannone, a richiederlo in “prestito” patteggiando e sottostando, in tali occasioni, “alla parte”, vale a dire al dover dividere, con il proprietario dell’animale, la merce trasportata, spesso anche la metà.
Gli asini venivano comprati per lo più in occasione delle tradizionali fiere paesane: a Montella alla Fiera dei Martiri (alla fine del mese di agosto), a Cassano alla Fiera di Montevergine (l’8 settembre), o anche a quelle di Nusco e di Lioni.
Nella generalità le case di Montella erano strutturate in modo da avere una sezione destinata all’abitazione e una sezione utilizzata per accogliere masserizie varie ed animali domestici.
La sezione abitativa era, rispetto al piano stradale, posta in un’area superiore; era raggiungibile tramite una ripida scala e per lo più era costituita da una cucina munita di “focagna” e “gratale” e da una o altre due stanze in cui dormivano i vari componenti della famiglia.
La stalla era dunque “sotto” la zona residenziale, prospiciente alla strada e delle volte si affacciava su un terreno corrispondente ad una parte perimetrale della stessa abitazione, in cui trovavano allocazione il “catuoio” (per i maiali), il “masonale” (per le galline) e la “conigliera” (per i conigli) .
Insieme a tutti gli altri animali domestici, anche il “ciuccio” era dunque alloggiato nella stalla, ne occupava una sezione di “riguardo”, ben riparata e, poiché era un autentico “capitale”, era tenuto con attenzione e curato adeguatamente.
Dunque, a tal fine la stalla veniva regolarmente pulita dal letame e quasi a giorni alterni si provvedeva a eliminare i rifiuti e il fieno vecchio. Periodicamente si lavava il pavimento per poi, una volta asciutto, cospargerlo, soprattutto nei mesi freddi di abbondante paglia, in modo da garantire all'animale calore e confort.
Nella realtà questo quadrupede esigeva poche cure e nella scelta del cibo non si mostrava difficile, poiché mangiava di tutto, per lo più erbe verdi, rami e cespugli, consumati allo stato selvatico nonché fieno e foraggi coltivati.
Era prodigo nel bere, infatti beveva anche dopo una lunga astinenza, caratteristica quest’ultima che gli consentiva di vivere anche nelle regioni più aride.
Ordinariamente il “ciuccio” era alimentato con un “truocchio” di fieno giornaliero, di circa 5-6 kg, fatto per lo più da erba medica, raccolta a giugno, essiccata, attorcigliata, appunto, a “truocchio” e conservata in un soppalco della stessa stalla.
L’asino aveva, come è ovvio, bisogno di essere mantenuto pulito e pertanto veniva strigliato e quasi quotidianamente gli si faceva una bella spazzolata e gli veniva tolto l’eventuale fango dagli zoccoli.
Come i cavalli ed i muli anche gli asini periodicamente dovevano essere condotti dal “ferraciuccio”, ossia dal maniscalco per il pareggio e la ferratura dell’animale.
Il “ferraciucci” era, in quegli anni lontani, un artigiano che esercitava l’arte della ferratura e nel suo lavoro collaborava strettamente con il proprietario che gli forniva tutte le informazioni sull’uso abituale dell’equino domestico in argomento.
Il padrone evidenziava le eventuali esigenze particolari e soprattutto evidenziava i probabili problemi riferiti all’andatura del suo asino.
La bravura del “ferraciuccio” si concretizzava nell’atto dell’adattamento e dell’applicazione del ferro che erano preceduti da una fase molto importante, quella del cosiddetto “pareggio” che consisteva nell’asportazione dell’eccessiva crescita delle varie parti dello zoccolo rivolte al suolo.