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Dal Libro dei ricordi di Mario Buttiglio Una piacevole mattinata sui Monti Picentini: Pianoro di Verteglia.

Monti PicentiniNel 1961 in Europa imperversava una epidemia mortale di bovini e nel Nord-Italia si erano verificati alcuni casi. Il Ministero della Sanità emanò immediatamente un’ordinanza esecutiva su tutto il territorio nazionale per prelevare campioni di sangue su tutti i capi bovini e abbattimento dei contagiati. In quegli anni in tutta la Condotta Montella-Cassano Irpino vi era una nutrita presenza di bovini, localizzati nelle varie masserie o in montagna, in particolare, sui Monti Picentini. Mio padre, Veterinario Condotto, immediatamente iniziò la campagna di prevenzione, effettuando prelievi, da portare subito dopo all’ Istituto Zooprofilattico di Portici per i controlli. Fu un compito gravoso, che mio padre con la sua grinta seppe gestire nel migliore dei modi.

Monti Picentini 04Era il 1° luglio 1961 e ricordo che ero ritornato da qualche giorno dal Collegio, dove avevo frequentato il 1° Liceo Classico (in Montella c’erano le Elementari e le Medie). Libero dalle “fatiche scolastiche”, con gli amici ho trascorso giornate di spensieratezza assoluta. Tornando a casa per ora di pranzo, incontravo mio padre, che mangiava in fretta un boccone e via ad effettuare nuovi prelievi! A sera era veramente distrutto! Dopo alcuni giorni, aveva esaurito i prelievi sui capi bovini presenti in paese e a Cassano e bisognava recarsi sui Monti Picentini e, più precisamente, sul Pianoro di Verteglia, dove erano presenti 3 mandrie, che, complessivamente, avevano 623 capi bovini. Mio padre prese accordi con i proprietari per il 1° luglio. Per l’occasione si rendeva necessaria la mia presenza! Ci organizzammo nel modo seguente! Prendemmo una scatola di cartone doppio e, a due lati, applicammo una cinghia in modo tale da poterla reggere a tracollo. Ricordate, amici miei coetanei, il classico gelataio di una volta nelle sale cinematografiche, che vendeva i suoi prodotti durante l’intervallo tra un tempo e l’altro della proiezione? Sì, proprio come lui! In un’altra scatola avevamo quasi 700 provette per il sangue, un rotolo di nastro adesivo (non come quello dei giorni nostri), l’occorrente per i prelievi, strofinacci e qualche penna. Dalla Piazza Principale, ogni mattina verso le 3,30, un camionista conduceva in montagna alcuni boscaioli per il taglio di alberi da trasportare in segheria per la lavorazione e trasformazione. A quei tempi l’industria del legno era fiorente e in paese erano presenti due Segherie di tutto rispetto. Mio padre pensò di chiedere la cortesia di aggregarci al gruppo e così quella mattina salimmo con loro su in montagna. I boscaioli, che occupavano i posti in cabina, insistettero perché noi prendessimo il posto loro, portandosi sul cassone con gli altri. Ricordo che, benché fosse il 1° luglio, l’aria era un po’ frizzantina! La strada da percorrere, a quei tempi, non era asfaltata, ma era la classica strada di montagna con pietre grandi e piccole e avvallamenti, per cui solo i mezzi pesanti potevano accedervi. Il percorso, che oggi, comodamente, si supera in mezz’ora o anche di meno, allora, invece, richiedeva molto più tempo! Molto lentamente e con infiniti scossoni affrontammo la salita. Le prime luci dell’alba iniziavano a dissipare l’oscurità della notte, quando, a pochi passi da noi, vidi una lupa, seguita da diversi cuccioli, che scendevano dall’alto e, attraversando la strada, continuavano, non curanti della nostra presenza, il loro cammino giù per la scarpata. Il camionista mi disse che spesso incontravano i vari animali del bosco.

Più salivamo e più la nebbia si faceva fitta! In alcuni tratti, era anche impenetrabile con i fari del camion! Dovemmo rallentare al minimo. In cuor mio avevo una grande paura, pensando che, di lì a poco, saremmo dovuti scendere dal mezzo per incamminarci nella nebbia verso il casone, dove ci aspettavano i pastori e non solo loro, ma, anche, numerosi e terribili cani da guardia! Le luci dell’alba lasciarono il posto a quelle dell’aurora, sempre più luminose e variopinte. Erano circa le 5,00 del mattino, quando giungemmo sulla sommità della montagna e, di lì, la strada si distende verso il Pianoro di Verteglia. Scendendo, papà chiese al camionista il dovuto, ma, questi, fermamente, rifiutò qualsiasi ricompensa. Io ringraziai con gratitudine i boscaioli che ci avevano ceduto il posto in cabina. La gente di montagna ha da sempre un cuore grande! Indossai a tracollo quella scatola con tutto l’occorrente e mio padre prese lo scatolo contenente le provette ed un bastone per difenderci dall’assalto dei cani.

Appena il camion si allontanò da noi, un terrore invase tutta la mia persona, in quanto tutto d’intorno regnava una nebbia fitta e che si diradava perché sospinta dal vento! In lontananza si sentiva l’abbaiare dei cani, che, imperterriti, svolgevano il loro compito di guardia. Con voce tremante rivolgevo a mio padre tante domande e lui, di rimando, con voce ferma, mi invitava a non aver paura! Arrancando sul terreno umido, pian piano, ci avvicinavamo al casone e anche i cani erano sempre più vicini! Ad un certo punto, mio padre incominciò a chiamare ad alta voce i nomi dei proprietari delle mandrie, come Luca (Carbone) e Cesare (F.), i quali erano in attesa e, dall’abbaiare, avevano capito che stavamo arrivando. Richiamando i cani, ci vennero incontro e, fortuna per noi, giungemmo sani e salvi al casone. Dopo qualche attimo, Luca chiese a mio padre: ”’O criaturo se mangiato cocchecosa?” Mio padre gli risposi di no perché era molto presto quando ci siamo preparati per uscire di casa! Continuò dicendo:” Si s’accontenta re quero ca tinimo qua: doe ova fritte o na zuppa re latte co o’ pane nuosto!”

Gli risposi subito che andava bene la zuppa di latte! Allora lui prese una padella, vi versò del latte e dei pezzi pane e la mise sul fuoco del focolare. Dopo poco mi fece sedere su di uno scanno e mi porse la padella. Appena misi in bocca il primo cucchiaio, carissimi amici, rimasi, lì per lì, a bocca aperta, in quanto il latte aveva un sapore divino ed il pane casereccio completava la bontà di quella umile colazione! Mai prima di allora avevo bevuto il latte di mucca al pascolo in montagna! Il latte, che, giornalmente, bevevo a casa in paese era buono, ma non come quello! Quello era “ottimo”! Perdonatemi l’espressione: “Mi consolai!” Mio padre fece la stessa colazione ed in più bevve un caffè d’orzo. Terminato quel momento idilliaco, che mi rinfrancò di ogni sacrificio, ci mettemmo subito all’opera per effettuare i prelievi, approfittando del fatto che le mucche giungevano da tutte le parti della montagna per farsi mungere. Per poter gestire quelle mandrie occorreva una consistente manovalanza, a cui si aggiungevano i proprietari con i propri figli. Tra questi c’era anche Mario, figlio di Luca Carbone e padre di Vincenzo, il quale già da alcuni anni gestisce, egregiamente, il “Ristorante Park Hotel LA FAJA” sul Pianoro di Verteglia. Mario a quei tempi era un giovane dalla corporatura muscolosa ed aveva una prestanza fisica da soprannominarlo “Ursus”, il famoso personaggio del Colossal “Quo vadis”, che salva dalle tigri la schiava Licia, destinata al sacrificio nell’arena sotto gli occhi dell’Imperatore Nerone! Della famiglia c’era anche la giovane Vincenza, una bellissima Amazzone, che cavalcava fra le mandrie con una padronanza da fare invidia agli stessi cowboy.

Montei Picentini 03

Il suo compito principale era quello di messaggera fra la dimora in paese e la montagna. Ricordo, perfettamente, che quando a cavallo attraversava le strade in paese, la sua naturale bellezza faceva scalpore, facendo girare la testa a piccoli e grandi! Desidero fermarmi qui senza oltre divagare, altrimenti, perderei di sicuro il filo del racconto! Quella mattina, per me, fu “una piacevole mattinata sul Pianoro di Verteglia”, in quanto ho assistito a situazioni, che hanno dell’incredibile per chi vive lontano dal mondo della pastorizia! Senza altro indugio, passo a raccontarvi questa mia meravigliosa esperienza! Prima di ogni cosa desidero sottoporre alla vostra attenzione il fatto che ogni bovino ha il suo nome e il pastore-proprietario ricorda perfettamente tutte le sue caratteristiche a tal punto che ne è capace di individuarlo fra centinaia di altri esemplari! La cosa ancora più straordinaria era che al richiamo per nome il bovino con la sua andatura si avvicinava al pastore e quella mattina di nomi ne sono risonati tanti come: Neorabella, Faccineora, Brunella, Primavera, Marzolina, Pasqualina, Colombina, Capricciosa, Capineora…e mi fermo qui perché l’elenco sarebbe veramente molto lungo. Il giovane Mario afferrava il bovino per le corna e lo immobilizzava, inserendo due dita nelle narici. Immobilizzare un bovino piccolo o grande, che sia, non è cosa semplice, in quanto essi hanno una forza incredibile. Mio padre, impavido, si avvicinava e conficcava l’ago, specifico per il prelievo, nella vena giugulare ed io immediatamente ne raccoglievo il campione di sangue.

Appena chiusa la provetta vi incollavo il nastro adesivo su cui avevo registrato il nome del Proprietario e quello del bovino e la depositavo nello scatolo raccoglitore. Uno dopo l’altro, quella mattina, abbiamo raccolto ben 623 campioni! Sembra incredibile, ma basta pensare che il tutto si è svolto dalle 5,30 fino alle 16,00 circa, interrompendo l’esecuzione solo per portarci da un recinto all’altro. Quella mattina sapete come ho fatto fronte all’arsura, dato che c’era anche un sole abbastanza caldo? Ho bevuto a piccoli sorsi all’incirca 1 litro e mezzo di latte! Durante l’esecuzione ci fu solo un momento di pericolo! Era la volta di un toro adulto, molto scalpitante, e Mario forse era anche un po’ stanco! Mentre mio padre infilava l’ago, il toro si dimenò, Mario perse quasi la presa e un corno sfiorò la testa di mio padre! Se l’avesse preso più da vicino, ne sarebbe venuta fuori una grave ferita! Da quel momento sia Mario che gli altri furono più accorti e così di lì a poco terminammo i prelievi. Facemmo un piccolo spuntino e, a bordo della macchina di un macellaio, ritornammo a casa. Erano circa le 17,30 e ricordo che feci un bagno rilassante e, subito dopo, andai a riposarmi. Sul far della sera dormivo profondamente e per cena i miei preferirono non disturbarmi. Quando l’indomani mattina mi sono svegliato e, guardando l’orologio, ho visto che segnava le 8,30, per me è stato uno shock, perché non sapevo di aver dormito circa 15 ore! Ricordando quella frugale, ma gustosa, colazione in quell’ambiente così povero di tutto, ma ricco dell’essenziale, quasi da paragonarsi alla Santa Grotta, avrei ripetuto ben volentieri quella esperienza, da cui ho tratto tanti insegnamenti di vita!

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Giovedì, 18 Aprile 2024