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Un “12” al Totocalcio! dal Libro dei ricordi di Mario Buttiglio

Nell’ammirare questa foto, un ricordo, prepotentemente, è affiorato alla mia mente! Siamo alla fine degli anni ’60 (questa volta non potrò essere preciso, ma forse è anche opportuno non esserlo più di tanto!) ed ero Titolare della Rappresentanza del Banco di Napoli in Montella. Era un lunedì e ricordo che era una bella giornata! Fra i tanti clienti, che, quotidianamente, effettuavano operazioni bancarie per le loro varie attività, si presentò il personaggio di questo mio ricordo! Era una persona di tutto riguardo, un bravo uomo, che, tranquillamente, attese il suo turno, anzi, dette la precedenza anche all’ultimo arrivato. Appena fummo soli, mi chiese di poter accedere nel retro per parlarmi in privato! Dopo un breve preambolo, mentre mi confidava il suo segreto, estrasse dal portafogli una “matrice di schedina di Totocalcio giocata”! Era vincente! Aveva un “12”! Mi spiegò che, un minuto prima della fine dell’ultima partita, era un bel “13”!
Un “13” favoloso!

A quei tempi, non si avevano, nell’immediato, molte notizie relative alle vincite! Ora, continuiamo il racconto! Il cliente, chiaramente, dovendo incassarne la vincita, pensò bene di servirsi della Banca anche per rimanere nell’anonimato! Più volte, infatti, si appellò a questo importante particolare: “Il segreto bancario”, che avrebbe protetto il suo anonimato! In quel momento condivisi la sua gioia, perché era proprio una gran bella persona, meritevole di tutto! In paese c’era una sola Ricevitoria gestita dal carissimo e indimenticabile Totore (Sì! In paese bastava dire: “Totore” per indicare la Ricevitoria o il Bazar con vari prodotti, ma, in particolare, quelli elettrici).
Ora, però, viene il bello!
Perché questa mia precisazione? Leggete quanto vado a scrivere circa il mio operato da Bancario! Per poter accettare quella matrice per poi presentarla all’incasso, era necessario che io ne conoscessi la relativa somma vincente per poter consegnare al Cliente la ricevuta, attestante l’operazione. Dovendo chiudere, momentaneamente, il locale della Banca, pregai il Cliente di ripassare più tardi, anche per cautelare il suo anonimato. Fui costretto, quindi, a recarmi presso la Ricevitoria, sita sulla Piazza Bartoli, a pochi passi dalla Rappresentanza. Totore, ne aveva già avuto notizia a mezzo telegramma, ma non ne aveva la più pallida idea di chi fosse il possessore! Dinanzi al suo negozio c’era, infatti, un cartello con la scritta della vincita del “12” pari a 70 milioni di lire! Entrando, lo salutai cordialmente e gli chiesi di mostrarmi il documento relativo alla vincita, in quanto, in Banca, un Signore aveva presentato per l’incasso “la matrice vincente” e, per potergli consegnare la relativa ricevuta, avevo bisogno di sapere l’esatto importo della vincita. All’istante incominciò a farmi gli auguri ad alta voce, complimentandosi con me! Più volte gli spiegai che non ero io il vincitore, ma inutilmente! Sul marciapiede, antistante, c’erano diverse persone, che nel sentire tutte quelle espressioni augurali, si avvicinarono e la notizia di una mia eventuale vincita si diffuse in un attimo in lungo e in largo! Nell’immediato, spiegai subito che non ero io il possessore, ma un Cliente della Banca e che ero legato al “Segreto Bancario”! Fu tutto inutile, perché nessuno ha mai creduto alla mia dichiarazione! Fu una mattinata di auguri e di inutili chiarimenti da parte mia! Quando la sera, a fine negoziato, ho incontrato i miei amici, pensavo di poter passeggiare tranquillamente e, invece…! Fui costretto a rincasare molto prima del solito! La cosa, purtroppo, è andata avanti per giorni e giorni, anzi per mesi e mesi! Poi nel ’72 mi trasferii in Avellino con i miei e credo che solo così la cosa cadde nell’oblio!

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16 luglio, la Chiesa festeggia la Vergine Maria con il Titolo di “Nostra Signora del Monte Carmelo”. dal libro dei ricordi di Mario Buttiglio

16 luglio, la Chiesa festeggia la Vergine Maria con il Titolo di “Nostra Signora del Monte Carmelo”. dal libro dei ricordi di Mario Buttiglio - Nella tradizione cattolica e carmelitana, in particolare, la Signora del Monte Carmelo rappresenta il "fiore più bello del giardino di Dio".

La Vergine purissima, che possiede la bellezza di tutte le virtù, il perfetto modello di ogni vita contemplativa e, in particolare, la premurosa madre, sorella e patrona dei religiosi carmelitani e di tutti i fedeli che si impegnano a "salire il Monte del Signore per stare nel suo luogo santo" sotto il segno dello Scapolare, ha legato speciali promesse di salvezza eterna. Legati a questa ricorrenza ho dei ricordi cari, perché mi riportano ai miei anni di fanciullo quando mia madre, con le mie sorelle e con amici di famiglia, mi conduceva alla Chiesa del Carmine per partecipare alla Novena in preparazione della Solennità del 16 luglio.

In quegli anni, ogni ricorrenza era vissuta con uno stato d’animo sereno e, nel contempo, in maniera genuina, religiosamente parlando! Oggi, presi dal frenetico corso della vita, quasi le stesse ricorrenze sembrano susseguirsi quasi indifferentemente! Quanta nostalgia! Ricordo che, lasciando il centro del paese, percorrevamo una strada secondaria, tutta sassosa, ma più breve. La Chiesetta, era, originariamente, una cappella gentilizia di una nobile famiglia. Sita in luogo più alto, si presentava ai nostri occhi con un piccolo sagrato, recintato da una ringhiera con un cancelletto e sul lato sinistro un Tiglio,(Teglia nel dialetto locale) ai cui piedi un basso muretto invitava i più anziani a un breve riposo. Ricordo che dalla chioma dell’albero cadevano delle foglie ingiallite, che, volando, giravano su se stesse come eliche. Era veramente bello vederle scendere dolcemente al suolo! Sul frontale della chiesa, in alto, un’edicola in ceramica con l’immagine della Vergine del Carmelo. All’interno, nell’unica navata, le sedie per i fedeli e sui laterali, a ridosso delle pareti, gli stalli lignei riservati ai Confratelli. Il soffitto in legno con cassettoni e difronte nell’abside un antico altare e, in alto sulla parete, un baldacchino di legno dorato con l’antica statua della Madonna del Carmine. Secondo le tesi di alcuni studiosi, la statua apparteneva ai pastori, che conducevano al pascolo i propri bovini sul Pianoro di Verteglia a 1300 m (Monti Picentini-Catena degli Appennini Meridionali) ed era collocata nella chiesetta, sita presso il laghetto, oggi denominato “Acqua della Madonna “.

Gli stessi pastori, poi, l’avrebbero trasportata in paese, quando la chiesetta era andata in rovina a seguito dei rigori invernali e collocata nella prima chiesa incontrata lungo il percorso verso il paese. Ricordo che ogni sera c’era una numerosa presenza di fedeli. In prossimità della chiesa c’era il venditore con il tavolo pieno di fette di angurie e il pentolone con fave, spighe di grano o lupini. Poco distante una donna anziana vendeva le castagne infornate, le “ 'ndrite” (nocciole tostate nel forno e infilate dentro ad un filo per formare una collana) noci e “ ’o cupeto “ (il torrone).

Questi prodotti tipici sono ancora oggi presenti sulle bancarelle, che, però, offrono molte altre varietà delle industrie dolciarie. Era quasi d’obbligo ritornare a casa con “la festa” (è un cartoccio contenente alcuni di questi prodotti). La mattina della festa, verso le 6,00 già si sentivano i botti pirotecnici e le celebrazioni delle Messe si sarebbero succedute ogni ora fino a mezzogiorno. Poi, nel tardo pomeriggio, al termine della S. Messa Vespertina, la Statua della Madonna veniva condotta per tutto il Rione con la partecipazione delle Rappresentanze delle varie Confraternite. Al rientro della Processione seguiva la S. Benedizione Eucaristica e immancabilmente, i fuochi pirotecnici.

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Dal Libro dei ricordi di Mario Buttiglio Una piacevole mattinata sui Monti Picentini: Pianoro di Verteglia.

Nel 1961 in Europa imperversava una epidemia mortale di bovini e nel Nord-Italia si erano verificati alcuni casi. Il Ministero della Sanità emanò immediatamente un’ordinanza esecutiva su tutto il territorio nazionale per prelevare campioni di sangue su tutti i capi bovini e abbattimento dei contagiati. In quegli anni in tutta la Condotta Montella-Cassano Irpino vi era una nutrita presenza di bovini, localizzati nelle varie masserie o in montagna, in particolare, sui Monti Picentini. Mio padre, Veterinario Condotto, immediatamente iniziò la campagna di prevenzione, effettuando prelievi, da portare subito dopo all’ Istituto Zooprofilattico di Portici per i controlli. Fu un compito gravoso, che mio padre con la sua grinta seppe gestire nel migliore dei modi.

Era il 1° luglio 1961 e ricordo che ero ritornato da qualche giorno dal Collegio, dove avevo frequentato il 1° Liceo Classico (in Montella c’erano le Elementari e le Medie). Libero dalle “fatiche scolastiche”, con gli amici ho trascorso giornate di spensieratezza assoluta. Tornando a casa per ora di pranzo, incontravo mio padre, che mangiava in fretta un boccone e via ad effettuare nuovi prelievi! A sera era veramente distrutto! Dopo alcuni giorni, aveva esaurito i prelievi sui capi bovini presenti in paese e a Cassano e bisognava recarsi sui Monti Picentini e, più precisamente, sul Pianoro di Verteglia, dove erano presenti 3 mandrie, che, complessivamente, avevano 623 capi bovini. Mio padre prese accordi con i proprietari per il 1° luglio. Per l’occasione si rendeva necessaria la mia presenza! Ci organizzammo nel modo seguente! Prendemmo una scatola di cartone doppio e, a due lati, applicammo una cinghia in modo tale da poterla reggere a tracollo. Ricordate, amici miei coetanei, il classico gelataio di una volta nelle sale cinematografiche, che vendeva i suoi prodotti durante l’intervallo tra un tempo e l’altro della proiezione? Sì, proprio come lui! In un’altra scatola avevamo quasi 700 provette per il sangue, un rotolo di nastro adesivo (non come quello dei giorni nostri), l’occorrente per i prelievi, strofinacci e qualche penna. Dalla Piazza Principale, ogni mattina verso le 3,30, un camionista conduceva in montagna alcuni boscaioli per il taglio di alberi da trasportare in segheria per la lavorazione e trasformazione. A quei tempi l’industria del legno era fiorente e in paese erano presenti due Segherie di tutto rispetto. Mio padre pensò di chiedere la cortesia di aggregarci al gruppo e così quella mattina salimmo con loro su in montagna. I boscaioli, che occupavano i posti in cabina, insistettero perché noi prendessimo il posto loro, portandosi sul cassone con gli altri. Ricordo che, benché fosse il 1° luglio, l’aria era un po’ frizzantina! La strada da percorrere, a quei tempi, non era asfaltata, ma era la classica strada di montagna con pietre grandi e piccole e avvallamenti, per cui solo i mezzi pesanti potevano accedervi. Il percorso, che oggi, comodamente, si supera in mezz’ora o anche di meno, allora, invece, richiedeva molto più tempo! Molto lentamente e con infiniti scossoni affrontammo la salita. Le prime luci dell’alba iniziavano a dissipare l’oscurità della notte, quando, a pochi passi da noi, vidi una lupa, seguita da diversi cuccioli, che scendevano dall’alto e, attraversando la strada, continuavano, non curanti della nostra presenza, il loro cammino giù per la scarpata. Il camionista mi disse che spesso incontravano i vari animali del bosco.

Più salivamo e più la nebbia si faceva fitta! In alcuni tratti, era anche impenetrabile con i fari del camion! Dovemmo rallentare al minimo. In cuor mio avevo una grande paura, pensando che, di lì a poco, saremmo dovuti scendere dal mezzo per incamminarci nella nebbia verso il casone, dove ci aspettavano i pastori e non solo loro, ma, anche, numerosi e terribili cani da guardia! Le luci dell’alba lasciarono il posto a quelle dell’aurora, sempre più luminose e variopinte. Erano circa le 5,00 del mattino, quando giungemmo sulla sommità della montagna e, di lì, la strada si distende verso il Pianoro di Verteglia. Scendendo, papà chiese al camionista il dovuto, ma, questi, fermamente, rifiutò qualsiasi ricompensa. Io ringraziai con gratitudine i boscaioli che ci avevano ceduto il posto in cabina. La gente di montagna ha da sempre un cuore grande! Indossai a tracollo quella scatola con tutto l’occorrente e mio padre prese lo scatolo contenente le provette ed un bastone per difenderci dall’assalto dei cani.

Appena il camion si allontanò da noi, un terrore invase tutta la mia persona, in quanto tutto d’intorno regnava una nebbia fitta e che si diradava perché sospinta dal vento! In lontananza si sentiva l’abbaiare dei cani, che, imperterriti, svolgevano il loro compito di guardia. Con voce tremante rivolgevo a mio padre tante domande e lui, di rimando, con voce ferma, mi invitava a non aver paura! Arrancando sul terreno umido, pian piano, ci avvicinavamo al casone e anche i cani erano sempre più vicini! Ad un certo punto, mio padre incominciò a chiamare ad alta voce i nomi dei proprietari delle mandrie, come Luca (Carbone) e Cesare (F.), i quali erano in attesa e, dall’abbaiare, avevano capito che stavamo arrivando. Richiamando i cani, ci vennero incontro e, fortuna per noi, giungemmo sani e salvi al casone. Dopo qualche attimo, Luca chiese a mio padre: ”’O criaturo se mangiato cocchecosa?” Mio padre gli risposi di no perché era molto presto quando ci siamo preparati per uscire di casa! Continuò dicendo:” Si s’accontenta re quero ca tinimo qua: doe ova fritte o na zuppa re latte co o’ pane nuosto!”

Gli risposi subito che andava bene la zuppa di latte! Allora lui prese una padella, vi versò del latte e dei pezzi pane e la mise sul fuoco del focolare. Dopo poco mi fece sedere su di uno scanno e mi porse la padella. Appena misi in bocca il primo cucchiaio, carissimi amici, rimasi, lì per lì, a bocca aperta, in quanto il latte aveva un sapore divino ed il pane casereccio completava la bontà di quella umile colazione! Mai prima di allora avevo bevuto il latte di mucca al pascolo in montagna! Il latte, che, giornalmente, bevevo a casa in paese era buono, ma non come quello! Quello era “ottimo”! Perdonatemi l’espressione: “Mi consolai!” Mio padre fece la stessa colazione ed in più bevve un caffè d’orzo. Terminato quel momento idilliaco, che mi rinfrancò di ogni sacrificio, ci mettemmo subito all’opera per effettuare i prelievi, approfittando del fatto che le mucche giungevano da tutte le parti della montagna per farsi mungere. Per poter gestire quelle mandrie occorreva una consistente manovalanza, a cui si aggiungevano i proprietari con i propri figli. Tra questi c’era anche Mario, figlio di Luca Carbone e padre di Vincenzo, il quale già da alcuni anni gestisce, egregiamente, il “Ristorante Park Hotel LA FAJA” sul Pianoro di Verteglia. Mario a quei tempi era un giovane dalla corporatura muscolosa ed aveva una prestanza fisica da soprannominarlo “Ursus”, il famoso personaggio del Colossal “Quo vadis”, che salva dalle tigri la schiava Licia, destinata al sacrificio nell’arena sotto gli occhi dell’Imperatore Nerone! Della famiglia c’era anche la giovane Vincenza, una bellissima Amazzone, che cavalcava fra le mandrie con una padronanza da fare invidia agli stessi cowboy.

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Dottoressa Luisa Buttiglio Ispettrice di Pubblica Sicurezza, di Mario Buttiglio

Luisa Buttiglio, Nacque in Montella il 9 novembre 1935 da Federico e Maria Ciociola. Fu la prima di tre sorelle ed un fratello. Le fu dato il nome di Luisa, Angelina, Giuseppina. Luisa per ricordare la nonna paterna; il secondo nome per la nonna materna ed il terzo per la zia, sorella della madre, morta in giovane età I suoi illustri genitori, Federico, nato a Perugia il 28 feb. 1904, primo Dottore Veterinario per la Condotta di Montella-Cassano Irpino, e Maria Ciociola, nata a Montella il 20 nov.1906 e secondogenita del Notaio Alfredo, seppero darle un’educazione improntata ai migliori principi ed ai più sani valori della vita.

Fu una ragazza molto assennata ed incline allo studio. Poiché in paese, allora, non vi erano scuole pubbliche all’infuori delle Elementari, fu costantemente ed amorevolmente seguita da suo padre, pur non essendo egli un Professore. La madre, da parte sua, si preoccupava dell’andamento della famiglia con grande amore e zelo, lasciandole tutto il tempo per studiare e divagare in ciò che più preferiva. Il meraviglioso supporto di entrambi le consentì di conseguire a 18 anni la Maturità Classica presso il Liceo “Colletta” di Avellino e si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza presso l’Università “Federico II” di Napoli. Avendo il padre accettato dal Banco di Napoli di Avellino l’incarico, in qualità di Speciale Mandatario, di reggere una Rappresentanza in Montella, nel maggio del 1955 propose alla Direzione dell’Istituto di Credito l’assunzione della propria figliola, Luisa, quale sua Sostituta, per poter avere una valida collaborazione. Nel Gennaio del ’57, avendo raggiunta la maggiore età (21 anni), fu nominata Titolare della Rappresentanza. La mattina ed il pomeriggio, quotidianamente, svolgeva l’incarico bancario ed in serata si dedicava allo studio giuridico e, infatti, il 15 Luglio 1959 conseguì a pieni voti la “Laurea in Giurisprudenza”.

Nel 1959 fu istituito il “Corpo di Polizia Femminile”, non inserito nell’organico dell’allora “Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza”, e Luisa partecipò subito al primo concorso per” Vice Ispettrice della Polizia Femminile”. Lo superò classificandosi al 5° posto della graduatoria generale. Assunta, quindi, nella nuova istituzione, dopo un corso di specializzazione presso la Scuola Superiore di Polizia di Roma, fu assegnata alla Questura di Venezia, che raggiunse nell’Agosto del ’61 con compiti specifici e limitati, riguardanti in particolare le donne ed i minori. A soli 25 anni si ritrovò sola a Venezia ad affrontare un lavoro nuovo, impegnativo e di grande responsabilità, sotto l’osservazione e la curiosità di stampa ed opinione pubblica, per la novità assoluta rappresentata dalla Neoistituita Polizia Femminile. In un contesto sociale, ancora lontano dall’accettare la parità fra uomo e donna nel lavoro, comincia il lungo percorso verso una Polizia moderna. Riuscì a superare brillantemente ogni ostacolo, grazie alla formazione ”spartana”, ricevuta dal caro genitore. Lei, che proveniva da un piccolo paese, affrontò, con coraggio e non poca nostalgia, il nuovo incarico, sprofondata in una Venezia austera e nel contempo mondana, dove il fascino dell’antico e la frenesia del moderno si uniscono in un panorama unico. In questo nuovo ruolo si faceva sentire in modo pressante una nostalgia delle sue origini, che riusciva a tenere a bada, descrivendo le sue giornate e le sue tristezze alla cara madre. Questa corrispondenza epistolare le dava conforto e coraggio a proseguire la strada intrapresa. Meraviglia delle meraviglie! Luisa imbucava la sua lettera con affrancatura ordinaria verso le 18,00. La mattina del giorno dopo verso le h. 9,00, la madre già poteva leggere quanto le aveva scritto la cara figliola e, dopo le prime faccende domestiche, si affrettava a rispondere. Tutta la corrispondenza, imbucata a quell’ora a Venezia, viaggiava via aerea verso Bari, dove avveniva lo smistamento per le varie destinazioni e, sempre durante la notte, raggiungeva prima Napoli, poi Avellino ed in fine Montella.

Oggi sembra veramente cosa di altri tempi! Trascorse in Venezia diversi anni, durante i quali le furono rivolti encomi da parte dei suoi diretti Superiori e dal Ministro degli Interni. Conobbe il collega, dott. Eugenio Rossi, commissario di Pubblica Sicurezza, divenuto poi amico, fidanzato e marito. Per effetto del nuovo inquadramento, le Ispettrici (Carriera Direttiva), a seconda del grado, precedentemente raggiunto, furono inquadrate nei Ruoli Dirigenziali o in quello dei Commissari. Fu, successivamente, trasferita presso la Questura di Benevento, dove prestò servizio per circa 5 anni ed in questa sede pensò con il marito di aumentare il nucleo familiare. Nacque, infatti, la loro figliola, Annamaria, una bellissima bambina dagli occhi azzurri come quelli del suo caro padre, Federico, che fu la gioia dei suoi genitori, dei suoceri, nonché degli zii. Gli anni trascorsero velocemente e Luisa con il marito fu trasferita, nuovamente, a Potenza, dove rimase fino all’ottobre del ’73 per poi raggiungere la Questura di Napoli. Per i particolari meriti acquisiti nel corso della carriera, le sono state conferite le seguenti onorificenze: Cavaliere; Cavaliere Ufficiale e Commendatore dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana”; Dama di Merito del Sacro Ordine Costantiniano di San Giorgio; Stella di bronzo del C.O.N.I. “Al Merito Sportivo” per Dirigenti. Quest’ultima nella qualità di Presidente del Gruppo Sportivo Fiamme Oro della Polizia di Stato. Raggiunta l’età pensionabile fu collocata a riposo con il grado di Questore. Nonostante il gravoso impegno di lavoro, che l’ha accompagnato per quarant’anni, non ha mai trascurato gli affetti familiari e, soprattutto, per i suoi cari genitori, ormai avanti negli anni, con cui ha potuto trascorrere ricorrenze e momenti di serena compagnia. Avendo rilevato dalle sorelle e dal fratello le quote della casa paterna lasciata in eredità, ha potuto godersi nei mesi estivi la sua Montella, lasciata ad appena 25 anni. In tempi ancora lontani, ha costruito la tomba di famiglia nel Cimitero di Montella, dove è stata tumulata il 3 luglio 2017 (morta in Napoli il 30 giugno a seguito di una lunga malattia).

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21 giugno 1972 - 21 giugno 2022 Sono trascorsi 50 anni da quel 21 giugno 1972, in cui fu inaugurata l’Agenzia di 1^ del glorioso Banco di Napoli in Montella, e sono 80 anni della sua presenza! di Mario Buttiglio

21 giugno 1972 - 21 giugno 2022 - Sono trascorsi 50 anni da quel 21 giugno 1972, in cui fu inaugurata l’Agenzia di 1^ del glorioso Banco di Napoli in Montella, e sono 80 anni della sua presenza!
Nei primi mesi del 1940, la Direzione del Banco di Napoli, presente in Avellino, dovendo effettuare in Montella alcune operazioni di incasso-cambiali, ritenne opportuno servirsi dello Studio Notarile del Dott. Ciociola Alfredo. Nel ’42, la Direzione Generale del Banco di Napoli decise di aprire una Corrispondenza per poter effettuare, oltre gli incassi delle cambiali, alcuni pagamenti di piccoli contributi statali agli agricoltori locali. La sede era ubicata in Piazza Bartoli. Dopo gli eventi bellici, la vita in paese, pian piano, si riprese, dando vita a nuove attività. Negli anni 50, iniziò il flusso migratorio verso le nazioni limitrofe, rientrando da esse nel periodo natalizio o durante quello del ferragosto. Mensilmente, quindi, arrivarono in paese rimesse di denaro per sostenere le proprie famiglie. Seguirono anni di benessere e si aprirono negozi di oggettistica, di vendita di mobili e ferramenta, di generi alimentari e macellerie ed anche l’industria del legname fu fiorente con la presenza di due segherie a pieno ritmo. Anche un’industria triestina fece la sua parte, smistando il legname sia in Italia sia all’estero. Fu aperta anche un’amplia stazione di servizio AGIP. La Direzione Generale dell’Istituto, vista la nuova e crescente economia del paese, decise di inaugurare una vera e propria “Rappresentanza” (Sportello dei giorni nostri), ottenendo dalla Banca d’Italia la concessione di esclusività sulla piazza per 25 anni. Il lavoro in banca si era sviluppato enormemente, in quanto i commercianti avevano adottato la vendita a rate con il pagamento tramite cambiali di piccolo importo. La raccolta di denaro in depositi fruttiferi era rilevante, nonostante la presenza di ben tre Uffici Postali. Gli stessi commercianti erano orgogliosi di essere correntisti del Banco di Napoli, perché, quando si recavano presso i grossisti per integrare le scorte di magazzino, presentando il carnet degli assegni del Banco, non veniva loro richiesto nemmeno un documento d’identità: “era un biglietto di presentazione!” Il 20 febbraio ’67, fui nominato Titolare con la specifica di Speciale Mandatario della Rappresentanza. Fin dal mio primo giorno, questo lavoro mi ha, letteralmente, conquistato forse anche per il mio carattere molto aperto e disponibile. Lavorai duramente, trattenendomi ogni giorno fino a tarda ora per poter svolgere tutti gli adempimenti. Erano quelli gli anni, in cui il tasso di interesse sui depositi vincolati divenne variabile, per cui ogni giorno si potevano acquisire nuovi clienti. Solitamente, nei paesi, le persone entrano più facilmente negli Uffici Postal, ma per il mio carattere aperto e perché appartenente ad una famiglia molto stimata in paese per la serietà, faceva sì che le persone entrassero in Banca senza vergogna alcuna. Alla fine degli anni ’60 ed inizio ’70, fu rinnovato l’Acquedotto Pugliese dell’Alto Calore, che da Cassano Irpino raggiunge Foggia. I lavori colossali furono portati avanti dalla DALMINE Spa e per i pagamenti settimanali dei numerosi operai occorrevano compilare centinaia e centinaia di vaglia. Dopo la chiusura dell’esercizio, dovevo precompilare i vari moduli per poterli emettere l’indomani. Anche in quella occasione la Rappresentanza è stata all’altezza della situazione, ricevendo i complimenti dall’Amministrazione della Ditta appaltatrice e dalla Direzione del Banco. Nel giro di pochi anni, la raccolta in depositi raggiunse livelli enormi, per cui, per il Regolamento del Banco, la figura dello Speciale Mandatario non poteva più gestire l’ingente giro di affari e, quindi, si rese necessario la trasformazione della stessa in Agenzia. Il 21 Giugno 1972, infatti, fu inaugurata la nuova Agenzia e la nuova sede (allora al Corso difronte alla Villa Comunale). Io fu assunto in qualità di Cassiere e la mattina del 4 ottobre dello stesso anno presi servizio presso la Filiale di Avellino. Il 1° luglio del ’97, ho concluso il mio cammino come “Bancario”!

Mario Buttiglio

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25° Anniversario della dipartita di mio padre Federico di Mario Buttiglio

10 Aprile 2022, 25° Anniversario della dipartita di mio padre Federico, Dott. Veterinario in pensione! Con questo mio doveroso ricordo desidero condividere con quanti lo hanno conosciuto e stimato questo suo tratto biografico!
Federico Buttiglio nacque a Perugia il 28 Febbraio 1904 da Mario e Luisa Vincenti. Fu figlio unico. Crebbe sano e bello con occhi celesti e capelli castano chiaro. Degli anni della sua fanciullezza non si ha alcuna notizia, ma si ritiene che furono spensierati. Dopo aver conseguito il diploma di Scuola Media,
il padre nel 1918 lo fece entrare in un collegio, dove frequentò il Liceo Classico. Furono anni difficili a causa degli eventi bellici. Visse momenti amari quando un suo compagno di collegio contrasse il Tifo e dopo pochi giorni ne morì. Si impegnò a curare con successo una conigliera dell’Istituto. Fu molto diligente negli studi e fu un bravo oratore, declamando a memoria brani di autori classici. Conseguita la Maturità Classica, si iscrisse alla Facoltà di Veterinaria presso l’Ateneo della sua città. Furono anche questi anni turbolenti per l’avvento del Fascismo e tutte le sue conseguenze. Si innamorò di una studentessa, che nei suoi ricordi nominò spesso, chiamandola col nome di “La Gigia“.
Si laureò a pieni voti, essendo con altri due colleghi il migliore di quel corso universitario. I tre, neo-laureati ed amanti dell’avventura, vollero subito impegnarsi nella loro nuova Professione per costituirsi anche una certa indipendenza dalla propria famiglia. Essendo venuti a conoscenza del “Bando di Concorso per Veterinari Condotti in Campania per le sedi di Montella, Cassano I., Bagnoli I., Volturara e Gesualdo”, si iscrissero immediatamente per poter concorrere e, sicuri della riuscita, dissero queste testuali parole: “Andiamo a vedere cosa si fa laggiù!“
L’intenzione era quella di rimanere in quelle sedi per un periodo molto breve per poi far ritorno nella loro terra d’origine. Tutti e tre risultarono vincitori e Federico raggiunse la Condotta di Montella-Cassano Irpino.
Trasferirsi da Perugia non fu cosa semplice! Lasciare i genitori, la Gigia e i gli amici fu come chiudere un capitolo della propria vita per aprirne un altro pieno di incognite! Ormai non era più il giovane esuberante, ma l’uomo pronto ad intraprendere il suo ruolo di Professionista nella Società! Giunse a Montella nel Febbraio 1928! Alloggiò presso una famiglia, che gli aveva riservato una camera senza bagno e senza alcun tipo di riscaldamento. Il freddo pungente e le nevicate abbondanti gli fecero sentire ancor di più il distacco dall’amore dei suoi genitori e della sua fidanzata. La mattina si recava presso il Municipio, dove rimaneva a disposizione per eventuali visite a domicilio o provvedeva al controllo delle carni macellate.
Era solito fermarsi presso la Farmacia del Dott. Giulio Ciociola, dove poteva incontrare altri Professionisti.
La sera, quando rincasava, si tratteneva un po’ con i proprietari della casa, riscaldandosi presso il focolare. Poi, con quel po’ di calore, affrontava il letto dalle lenzuola ghiacciate.
La sua forte costituzione gli dette la forza di andare avanti.
Superato l’inverno, quando le giornate iniziarono ad essere un po’ più tiepide, comprò una potente motocicletta (Gilera), che gli doveva servire per poter raggiungere più facilmente le masserie, sparse nelle campagne ed in montagna. Con la moto si recò spesso ad Avellino, dove per comprare l’occorrente per l’abbigliamento e per la sua professione.
Di tanto in tanto ritornò a Perugia per riabbracciare i suoi genitori ed anche la sua Gigia.
In quegli anni si rese conto che non gli sarebbe stato possibile ottenere una Condotta nei dintorni della sua città, in quanto, dominando il Fascismo, si viveva di compromessi e soprusi! Non si perse d’animo e tentò diverse volte, ma sempre inutilmente! Fu proprio allora che incominciò ad odiare Perugia! Troncò con grande dolore il fidanzamento e volle affidare la Gigia al suo più caro amico. Quando il tempo seppe guarire quella profonda ferita, la Gigia sposò proprio quel caro giovane, divenuto poi Professore Universitario.


Federico non dimenticò mai il suo primo amore e custodì, segretamente, per tutta la sua vita una fotografia della Gigia.
Nel 1933 morì la sua adorata mamma e il padre, rimasto solo, si risposò.
Convinto che non avrebbe più potuto avere il trasferimento nella sua Umbria, decise di fidanzarsi e sposarsi. Conobbe la Signorina Maria Ciociola, figlia del Notaio Alfredo e il 6 ottobre 1934 contrasse il matrimonio. Le nozze furono celebrate presso il Santuario della Madonna di Pompei, perché la sposa aveva una profonda devozione per la Vergine Santissima del S. Rosario. Furono presenti alla cerimonia pochi amici e parenti, in quanto la suocera era gravemente ammalata. Seguì una breve luna di miele, raggiungendo Roma, Firenze, Venezia e Perugia.
Abitò nello stesso appartamento, occupato dai suoceri. Il 9 Novembre 1935 nacque la loro primogenita, a cui diede il nome della sua cara madre: Luisa.
A Montella fu molto stimato per le sue capacità di Veterinario ed anche il Comandante della Stazione dei Carabinieri gli affidò la responsabilità del Reparto Equestre, dove furono presenti validissimi cavalli. Fu un bravo cavaliere e, quando doveva recarsi in montagna, spesso montò i cavalli dei pastori. Cavalcò anche di notte per ore e ore per poter raggiungere località di montagna molto lontane dal paese. Fu molto coraggioso ed affrontò diverse situazioni di vero pericolo. Non si lasciò mai corrompere! Per questo fu amato e rispettato sempre.
L’ 8 Aprile 1937 nacque la seconda bambina. a cui fu dato il nome di Angelina, nome della Suocera.
Trascorse anni sereni in quanto il servizio da Veterinario non gli dette molto da fare e potette anche ritornare con la famiglia a Perugia.
Il 29 Gennaio 1940 nacque la terzogenita a cui fu dato il nome della Cognata, sorella della moglie morta in giovane età, Giuseppa.
La gioia di questo nuovo arrivo si offuscò il 21 luglio con la morte del Suocero, che ha sempre rispettato e stimato come se fosse stato suo padre.
Ricevette dalla Confraternita del S. Rosario l’onore di poter indossare la Veste Sacra, che era stata dell’amato suocero Alfredo, Priore e benefattore per ben 40 anni.
In quell’anno fu chiamato alle armi in qualità di Ufficiale Veterinario ed assegnato alla Caserma Militare di Caserta. Dopo alcuni mesi fu collocato in congedo col grado di Tenente. Nei primi mesi del 1942, accettò l’incarico di Corrispondente da parte della Direzione del Banco di Napoli di Avellino con il compito di effettuare alcuni pagamenti prima presso lo Studio del suocero e poi in un locale adibito allo scopo, preso in affitto dall’Istituto di Credito. Incarico questo, che potette svolgere, in quanto non trattavasi di un impiego vero e proprio, senza venir meno alla sua Professione.
A causa degli eventi bellici non potette avere notizie relative allo stato di salute del padre, che nel Settembre del 1943 improvvisamente era morto.
Nei primi giorni del 1944 i Tedeschi occuparono Cassino, creando un fronte invalicabile. Tramite la Direzione Generale dell’Istituto di Credito potette ricevere una lettera, scritta da un amico in cui gli comunicava le gravissime condizioni della matrigna. Senza pensarci su due volte, organizzò la partenza e, non potendo superare il fronte di Cassino per via normale, pensò di aggregarsi a dei camionisti, che riuscivano, clandestinamente e dietro compenso, a far superare il fronte a chi ne avesse avuto bisogno. Febbricitante partì di notte da Napoli insieme ad altre persone. Dopo circa 30 km., il camionista e l’aiutante si fermarono presso un’osteria per consumare la cena. Dopo un’ora, ripresero il cammino. Federico, che aveva viaggiato con gli altri sul cassone, chiese di poter stare in cabina in quanto aveva qualche decimo di febbre. I due avevano bevuto abbastanza e, nel buio della notte nei pressi di Formia, mentre facevano una manovra per evitare una frana, urtarono un palo della rete elettrica, che, cadendo, andò a finire proprio sul posto, occupato in precedenza da lui. Federico, quindi, si era miracolosamente salvato, ma, purtroppo, la persona, che ne aveva preso il posto, morì sul colpo!
Giunti al fronte, riuscirono a superarlo e, quindi, Federico arrivò sano e salvo a Perugia. Nel frattempo la matrigna, purtroppo, era morta!
A Montella, intanto, si vissero momenti difficili, quando i Tedeschi, in ritirata, seminarono il loro cammino di morti innocenti, come i Fratelli Pascale, barbaramente trucidati! Federico con la moglie e le tre figliole fu costretto a rifugiarsi sulla collina del Monte nel Monastero attiguo alla Chiesa di S. Maria della Neve. Il 30 Gennaio 1945 nacque, finalmente, il sospirato maschio, che chiamò come il suo caro padre, Mario. L’esercito tedesco ormai era stato sconfitto e, frettolosamente, rientrò nei suoi confini, ma ciò nonostante, nel Lager di Dachau in Germania con la matricola n. 117826 moriva a soli 36 anni il Dott. Giovanni Palatucci, nativo di Montella, ultimo Questore di Fiume Italiana. Tradito da un collega, era stato arrestato in quanto era riuscito a salvare da sicura morte oltre 5.000 ebrei. Riconosciuto, poi, dalla Comunità Ebraica “Giusto fra le Nazioni” e insignito dalla Repubblica Italiana con la “Medaglia d’oro al Merito Civile”
Terminata la guerra, per alcuni anni, Federico condusse la famiglia a Perugia, dove trascorse i periodi estivi. Nel frattempo il lavoro, in qualità di Corrispondente del Banco di Napoli, si sviluppò sempre di più e la Direzione dell’Istituto di Credito decise di inaugurare una vera e propria “Rappresentanza “. Nel ’52, poiché i compiti della Rappresentanza incominciavano a richiedere più tempo, fece assumere dalla Direzione del Banco di Napoli un giovane Diplomato in Ragioneria, M.G., per poter avere un collaboratore. Nel ’55 il giovane Ragioniere fu trasferito in Roccaraso per la reggenza di una Rappresentanza dello stesso Istituto di Credito e così Federico ebbe la collaborazione delle sue figliole e in ultimo anche dal sottoscritto. La sua Professione lo assorbiva totalmente, perché, dopo gli eventi bellici, il commercio in paese stava riprendendosi e furono aperte nuove macellerie e negozi vari. Anche la Pastorizia si incrementò con l’arrivo di capi bovini, provenienti da allevamenti del Nord Italia o dall’Estero, e, quindi, il controllo per la salvaguardia di mandrie da malattie nocive anche all’uomo richiese più vigilanza in particolare per eventuali macellazioni clandestine! Anche il settore auto e il trasporto di persone a mezzo bus di linea incominciò ad incrementarsi e, quindi, gli avventori dei paesi limitrofi raggiungevano più facilmente Montella per rifornirsi di carne e di tutti i beni di prima necessità. Anche Federico, ormai, a pieno titolo, “Cittadino di Montella”, aveva raggiunto i “40 anni” di Professione e il ’69 fu collocato in pensione. Da quel Febbraio 1928 aveva dato tutto se stesso alla Professione di Veterinario per la Condotta di Montella-Cassano Irpino! Quanti felici ricordi! Quanti salvataggi di animali presso masserie sparse fra le montagne, nel cuore di notti o in inverni rigidi! Senza un attimo di esitazione, sempre pronto a tutto! Un giorno fu chiamato con urgenza presso una casa colonica dove un vitello stava morendo soffocato da una barbabietola bloccata nel condotto della trachea! I Pastori, gente veramente esperta, ricorrevano al Veterinario quando vedevano che non c’era più nulla da fare e quella volta, effettivamente, le avevano provate tutte! Giunto sul posto, Federico si tolse camicia e maglia intima e, a dorso nudo, ordinò, drasticamente, di mantenere aperta la bocca del vitello perché egli avrebbe infilato il braccio e estratto la barbabietola! Tutto si risolse in un attimo e l’addome del vitello si sgonfiò proprio come un palloncino! Il vitello riprese subito a scorrazzare libero! Un’altra volta io ero con mio padre, che si stava recando con la Lambretta presso il mattatoio per il controllo della macellazione. Lo raggiunse un uomo, tutto affannato, che lo pregò di andare subito alla sua masseria in quanto una mucca, a seguito di un parto travagliato, stava morendo! Andammo subito a casa per prendere un medicinale e via! Appena giunti, Federico chiese delle fettucce di cotone ed un gonfiatore di bicicletta! Nella stalla, vicini alla mucca moribonda, c’era la moglie con i figli dell’uomo che stavano piangendo! In quello stato di dolore non diedero peso alla richiesta di mio padre, che subito con voce forte ripetette la richiesta! L’uomo, incredulo e frastornato, corse subito a prendere quanto da mio padre richiesto! Si domandava il perché del gonfiatore! Federico, già durante gli studi universitari, aveva elaborato un certo suo procedimento proprio in simili circostanze, ma che non aveva potuto mai sperimentare! Quella volta volle metterlo in pratica!


Con il gonfiatore attraverso i capezzoli gonfiò la mammella e legò i capezzoli per non farne uscire l’aria. Poi iniettò nella vena giugulare un medicinale di una Casa Farmaceutica Tedesca e, dopo qualche attimo, quegli occhi spenti incominciavano a riaprirsi e, un attimo ancora, con un balzo la mucca si mise in piedi sana e salva! Il procedimento era risultato vincente! Il Popolo di Montella lo ha accolto appena trentenne e ha saputo amarlo e rispettarlo!
A novembre ’72 con la moglie seguì il figlio Mario in Avellino, dove potette godersi una pensione tranquilla e anche in compagnia di Pensionati, trasferitisi anche loro in Avellino con i propri cari.
La mattina, in loro compagnia, si concedeva lunghe passeggiate per il Corso e la sera usciva con la moglie, recandosi prima nella Chiesa del SS. Rosario per l’ascolto della S. Messa Vespertina e, poi, incontrandosi nuovamente con gli amici e con le rispettive mogli, passeggiava fino ad ora di cena.
Quando il 18 Settembre 1977 il figlio si sposò con la Dott. Angela Maria Maddaloni, continuò con la moglie ad abitare nella stessa casa.
Il “Signore“ gli dette una salute di ferro ed una compagna altrettanto sana nel corpo e d’animo nobile.
Fu sempre orgoglioso dei figli e dei nipoti, raccontandone sempre i loro successi. Quando ebbe l’occasione di incontrare e conoscere nuove persone, fu solito raccontare la storia della sua vita, arricchita dai tanti avvenimenti.
Il 23 Novembre 1980 alle ore 19,20, trovandosi in casa, visse con la moglie momenti veramente tragici a seguito del disastroso terremoto, che colpì tutta l’Irpinia!
Il 18 Settembre 1982 nacque il nipote, che avrebbe portato il suo nome e, sedendosi sul letto della clinica in attesa di poterlo vedere nel nido, Federico pronunziò la seguente frase :”Ora posso morire!“
Era nato l’atteso erede. Fu battezzato con i nomi : Federico, Maria, Salvatore.
Il 22 Luglio 1985 venne alla luce una bella bambina, che fu chiamata Marialuisa. Fu molto contento di questo nome, perché disse, rivolgendosi alla moglie, un po’ contrariata,:
“ Marialuisa è proprio un bel nome. Maria è il tuo nome; Luisa è quello di mia madre e della madre di nostra nuora.”
Nonostante l’età, fu molto paziente ed affettuoso, con i nipotini che gli giravano attorno e con cui parlava molto volentieri.
Il 6 Ottobre 1991, data l’età e non potendo più recarsi in Montella per partecipare alle funzioni religiose della Confraternita, si giubilò, trasferendo la Veste Sacra al figlio.
Il “Signore“ gli dette anche lunga vita ed, infatti, benché sposato all’età di 30 anni, potette festeggiare con la moglie le “Nozze di Diamante “ il 6 Ottobre 1994, circondato da figli, nipoti, generi, nuora ed amici.
Il figlio volle fare loro una sorpresa ed, infatti, fece pubblicare sulla rivista “Famiglia Cristiana“ le foto di entrambi nella sezione dedicata alle ”Nozze d’ epoca” .
Per l’età e per qualche acciacco uscì un po’ più di rado, appoggiandosi ad un bastone pregiato, che era stato del suocero. Trascorse le mattinate ed i pomeriggi, dedicandosi completamente alla lettura di riviste e giornali vari. Il primo venerdì del mese, il Padre Giovanni, Domenicano presso la Chiesa del SS. Rosario, recava loro la S. Eucarestia.
Ebbe sempre vicino la sua fedele compagna, che, mentre lui leggeva, si accaniva a risolvere i vari giochi dell’enigmistica o si dedicava al ricamo ed alla preghiera e vi rimase fino al suo ultimo giorno di vita, avvenuto a seguito di un Ictus Cerebrale nel giugno 1996. Il male gli procurò una parziale paralisi alla lingua ed agli arti inferiori. In un batter d’occhi, il sottoscritto da bancario si trasformò in un accorto infermiere, pronto a prestare tutto il suo aiuto. Non gli fece mancare nulla e, appena rientrato dalla Banca, si sedeva al suo capezzale e lui, tranquillo, riposava! Il decorso durò 6 mesi e non mancarono né le preghiere e né il conforto religioso. Agli inizi di aprile ’97 i segni funesti di un crollo si presentarono più ripetuti e, la sera del 9, i valori delle analisi, che fino al giorno precedente erano stati accettabili, precipitarono improvvisamente e lasciarono intendere che, purtroppo, non c’era più niente da fare!
Al capezzale furono presenti la moglie, le figlie, il sottoscritto, la nuora, i nipoti, che non volevano allontanarsi da quella stanza, ma, verso le 22,30 il caro Federico, ancora lucido di mente, capì che l’ora si approssimava e, con un piccolo gesto, mandò tutti a letto tranne il figlio, stringendogli la mano e sentendosi più tranquillo con lui vicino.
Quella fu l’unica volta che mi dovetti arrendere ed alzare le mani al Cielo, invocando la Divina Misericordia.
L’indomani mattina, 10 Aprile, giovedì, ore 5,45, Federico dette il suo ultimo respiro e raggiunse nella pace divina la sua tanto amata mamma ed il suo caro padre.
Gli fui accanto e volli completare il mio dovere, ricomponendolo sul letto di morte. Dopo quegli attimi penosi, quasi per incanto, il volto si distese, perché non più sofferente, e quella capigliatura bianca divenne vaporosa.
Fra le mani la corona del S. Rosario e nel taschino le immagini del SS. Salvatore, della Madonna di Pompei e di Padre Pio, che aveva sempre conservato con tanta devozione.
Anche il tempo, che nei giorni precedenti era stato piovoso e freddo, si commosse, offrendo due giornate di sole primaverile.
Il feretro fu accompagnato in Chiesa da un corteo sommesso di numerosi amici e conoscenti. Anche la Polizia di Stato, in rappresentanza del Questore di Napoli, con la presenza di Funzionari ed un picchetto d’onore con tre corone di fiori partecipò al dolore, che aveva colpito la Dott.ssa Luisa, Dirigente di Polizia. Un elicottero della P.S. sorvolò il percorso.
Sulla bara fu deposta la mozzetta della Veste Sacra, segno di appartenenza alla Confraternita, ed il cuscino di fiori, voluto dalla moglie.
Il rito funebre fu officiato da P. Giovanni e dal Cappellano Militare, nella
Chiesa del SS. Rosario, dove per ben 25 anni, seduto sul terzo banco di destra con la sua Maria, aveva assistito alle varie celebrazioni.
Nel momento della Consacrazione due squilli di tromba invitarono tutti i presenti ad un silenzioso raccoglimento.
Al termine del rito funebre, sul sacrato della Chiesa il picchetto di agenti si schierò sull’attenti per rendere onore alla salma e così, Federico ricevette il ringraziamento per aver donato la sua figlia primogenita al Corpo della Polizia di Stato.
Salutati i presenti, si partì alla volta di Montella per la S. Benedizione nella Chiesa della Libera, dove i Confrati ed amici del paese si raccolsero per dare l’ultimo saluto. Poi il feretro fu condotto al Cimitero per la tumulazione nella Cappella della Confraternita.
Dopo 25 anni, il Dott. Buttiglio ritornò in quella terra, che l’aveva accolto appena ventiquattrenne, neo laureato, ed aveva imparato ad amarlo e rispettarlo per la sua onestà e per lo zelo profuso nella sua professione.


“Serenamente, dopo una vita esemplare dedicata
alla Famiglia ed al Lavoro, si è spento
all’età di 93 anni il

Dott. Federico Buttiglio,
Medico Veterinario.

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La storia di un'anziana signora di Montella dal carattere di ferro !! dal libro dei ricordi di Mario Buttiglio

LA STORIA DI UN’ ANZIANA SIGNORA DI MONTELLA DAL CARATTERE DI FERRO!
Il ricordo, che desidero condividere con Voi, risale ai miei primi anni di banca e, esattamente, alla fine degli anni ’60. Fra i numerosi clienti, c’era un’anziana contadina ottantenne, che non aveva potuto frequentare le Elementari per necessità della sua famiglia. Ai suoi tempi non tutti avevano le possibilità di andare a scuola, dovendosi impegnare in lavori materiali. Non sapeva, quindi, né leggere e né scrivere, però, sapeva maneggiare il denaro ed era proprio lei a badare all’economia della famiglia. Di tanto in tanto, si presentava in banca per depositare su di un conto i risparmi, che era riuscita a racimolare. Per il mio carattere molto aperto e gioviale, si era creata una certa amicizia e con simpatia e disponibilità l’ascoltavo con piacere, in quanto aveva sempre qualcosa da dire. Ricordo un episodio in particolare! Molti dei nostri compaesani, per motivi di lavoro, erano stati costretti ad emigrare verso gli Stati Uniti, il Canada, l’Inghilterra e in altre nazioni! Con l’approssimarsi delle festività natalizie, facevano giungere ai parenti, rimasti in Montella, un piccolo regalo in denaro, tramite assegni in valuta estera. In quel periodo, quindi, c’era un via vai in banca per tramutare quella moneta straniera in lire italiane. Fra i tanti venne anche quella Signora con un assegno di 100 $, che le aveva rimesso il suo caro fratello. Ora per chi non sapesse apporre la propria firma, in banca, non era ammesso il segno di “+”(croce) con le firme di due testimoni, che avrebbero attestato l’identità della persona. Che fare, quindi? Normalmente ci sarebbe voluta una Procura Notarile, ma per un importo così esiguo era necessario aggirare l’ostacolo! Pensai di scrivere a stampatello su di un foglio il nome e il cognome e la pregai di copiare, piano piano, quei segni sullo stesso foglio per , poi, ripeterlo sull’assegno estero. Lì per lì, ebbe qualche attimo di esitazione, ma capì subito che era necessario per risolvere il problema. La feci accomodare alla scrivania e continuai a sbrigare gli altri clienti, dando sempre una sbirciata per vedere come procedeva la cosa. Chiaramente, sia per l’età sia perché non aveva mai preso fra le mani una penna, ebbe non poche difficoltà, ma, caparbiamente, vi riuscì. Credetemi, ne fui felice prima io e poi lei stessa! A questo punto, sembrerebbe che il racconto sia finito, ma non è così! Quanto ho scritto non è che la premessa di quanto vado a raccontarvi. Da quell’episodio, per diverso tempo non vidi più la Signora! Pensai che avesse avuto qualche problema di salute, ma Vi anticipo subito che la Signora godeva ottima salute, nonostante i suoi 85 anni! Un giorno ritornò per depositare altri risparmi. Entrando, non mi salutò, come era il suo solito, ma pronunziò queste testuali parole:” Don Ma’, vi debbo baciare mani e piedi!” “Non capisco!”-aggiunsi. Lei continuò: ”Vi ricordate che a Natale per cambiare l’assegno americano ho dovuto mettere la firma ? Ebbene, quel foglio su cui avevate scritto il mio nome e cognome in stampatello, io l’ho conservato e a casa ho provato a copiare qualche altra volta. Dovete sapere che io tengo un figlio in Germania e quest’anno gli è nato un bambino e ha voluto che al Battesimo ci fossi anch’io! Mi son dovuta fare il Passaporto e ho dovuto mettere un sacco di firme. Sapete come ho fatto? Piano piano con il vostro foglietto!” Non potete immaginare, amici carissimi, la gioia che ho provato in quel momento!

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La sedia di legno.................di Mario Buttiglio

Premessa: caro Mario scusa se inizio dalla fine del tuo racconto  ma è la parte che mi ha emozionato  di più , naturalmente prossimamente sarà pubblicato tutto e in ordine di data ) Vittorio Sica    -----  Cari amici, ecco il secondo episodio relativo alla mia batteria, alias sedia di legno! Un giorno di luglio ci organizzammo per una passeggiata in montagna e più precisamente sul Pianoro di Verteglia. A quei tempi non c’erano insediamenti di ristorazione, ma un Signore preparava presso un Rifugio dei panini al formaggio, al prosciutto o con fettine di soppressate paesane. Pensammo di trattenerci per ora di pranzo proprio in quel posto. Come al solito portammo con noi la fisarmonica e la chitarra semplice. Era bello e salutare stare all’aria aperta e suonare e cantare. Con noi vennero anche Alida, Bruna e altri . Avevamo costituito un bel gruppo di amici, desiderosi di trascorrere insieme momenti di svago. Chiaramente anche in quell’occasione non me ne stetti con le mani in mano! A quei tempi, ancora non c’erano le sedie di plastica, per cui per me era facile trovarne una che rispondesse alle mie esigenze! Trascorremmo così un sereno pomeriggio e scattammo anche delle foto, di cui una, in particolare, che mi riprende durante una delle mie suonate. Al tramonto ritornammo in paese. Ora mi domanderete e a ragione: ”Questo è il racconto di una giornata, come tante altre, che si possono vivere in montagna!” La domanda è giusta, ma ora vi descrivo il seguito! Da quel giorno è trascorso molto tempo o, meglio, diversi anni! Siamo nel gennaio del ’75! Direi proprio che erano trascorsi una decina di anni!
In questo lasso di tempo sono cambiate tante cose. La prima di tutte è che nel ’71 lasciai il Complesso, perché non potevo seguirlo nelle serate in località balneari, in quanto lavoravo in Banca. Fu per me una decisione presa con tanto dispiacere, ma non potevo fare diversamente! Subentrò il valente Vittorio Sica! Da allora, credetemi, non mi sono più seduto dietro ad una batteria, ma, chiaramente, ho continuato a seguire i miei amici nella conduzione del Club. Poi, il 4 ottobre ’72, fui trasferito presso la Filiale del Banco di Napoli di Avellino con le mansioni di Cassiere. Nel frattempo, anche le mie sorelle si erano sposate, per cui con i miei lasciai, definitivamente, Montella per andare a vivere ad Avellino. Dopo soli due anni, fui, nuovamente, trasferito presso l’Agenzia di Atripalda in aiuto al Cassiere Titolare. Atripalda era un fiorente centro commerciale di tutto riguardo, per cui sulla piazza c’era un ingente movimento di denaro. Erano pochi giorni che avevo preso servizio, quando una mattina si presentò al mio sportello un cliente per effettuare un’operazione. Ogni giorno in banca c’era un concorso di pubblico non indifferente, per cui bisognava attendere il proprio turno. Alzando lo sguardo, tra un’operazione e l’altra, avevo notato che un distinto Signore mi guardava con insistenza, abbozzando anche un sorriso. Non conoscevo nessuno del posto! Dopo alcuni minuti, fu il suo turno e, mentre disbrigavo l’operazione, mi disse: “Io l’ho conosciuta già da qualche anno!” Gli risposi che non era possibile e che forse mi confondeva con qualche altro, ma insistette: “Io l’ho vista un giorno in montagna ed esattamente a Verteglia!” Io mi strinsi nelle spalle e risposi: ”Mi perdoni, ma non ricordo!” Aggiunse: “Lei era in compagnia di un gruppo di amici, tra cui due bellissime ragazze, una bionda e l’altra bruna! Suonavate e cantavate!” A quella precisazione non mi sovvenne in quale circostanza ci avesse veduto! Continuò: “Io ero in compagnia di alcuni amici di Serino e lei suonava con le mani su di una sedia a mo’ di batteria.” Quel preciso particolare mi fece ricordare di quella passeggiata e ricordai anche che quei Signori ci apprezzarono e ci applaudirono. Sorridendo dissi: “Ora ricordo perfettamente! Ma ne è passato di tempo! Ricordo che avete anche applaudito. Il mondo è proprio piccolo!” I presenti si compiacquero con me! Anche i colleghi vollero sapere e fui felice di raccontare parte del mio passato da Batterista!

MARIO...MI SONO DIMENTICATO DI DIRTI CHE NELLA FOTO CI SONO ANCHE IO 

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La storia del Banco di Napoli nella Famiglia Buttiglio

Che cosa rappresentò il Banco di Napoli in Italia e nel mondo…, ”ai posteri l’ardua sentenza”! Che cosa rappresentò il Banco di Napoli nella Famiglia Buttiglio…, se avete la pazienza, di seguito ve lo racconterò! di Mario Buttiglio

La storia ha inizio in Montella nell’anno 1942.
Montella è un comune della provincia di Avellino situato a ridosso dei monti Pi-centini ad un’altezza di 580 m./s.l. con 7.677 abitanti e dista 39 km dal capoluo-go di provincia e 93 km da Napoli. Il suo territorio è prevalentemente montuoso e in conseguenza di tale configurazione geografica, nel corso dei secoli si sono an-date sviluppando tutte quelle attività connesse alla montagna, quali la pastorizia, le attività boschive e la coltivazione del castagno. Il castagno non è importante solo per il frutto in se stesso, ma anche per il legno e, soprattutto, è importante per la raccolta, la lavorazione e la conservazione delle castagne, operazioni queste in cui vengono impegnate tantissime persone e, si può dire che risolve, almeno in parte e per alcuni mesi dell’anno, il problema della disoccupazione venendo così a rappresentare una notevole fonte di reddito capace di creare molte opportunità di lavoro. La castanicoltura, infatti, rappresenta, ancora oggi, per molte aree in-terne della Campania, un'attività produttiva essenziale per le aziende agricole montane, che, nonostante le profonde modifiche, che le zone interne hanno subito negli ultimi decenni, viene a costituire una importante fonte di reddito, sia per co-loro che si dedicano a tempo pieno alla coltura ed alla successiva lavorazione del-le castagne, sia per coloro che si dedicano solo parzialmente o stagionalmente alla produzione, alla loro raccolta e lavorazione, integrando in modo significativo il reddito annuo; del resto, confrontando il reddito di questa cultura con i redditi che forniscono altre culture, la castanicoltura ne esce vincente. Un ruolo assai si-gnificativo, in questo specifico discorso, viene ad assumere la nostra cittadina che, per motivi morfologici e per le particolari proprietà organolettiche del terre-no, unitamente a fattori climatici, ha fatto sì che la coltivazione del castagno pre-senti delle caratteristiche pressoché uniche, fatto questo che ha determinato le condizioni affinché la"Castagna di Montella", unica nel suo genere, ha potuto ottenere il marchio DOC (D.M. 5.12.1987).
Grazie all’ abbondanza di pascoli fiorisce l’allevamento del bestiame, in partico-lare bovino, e sul posto sono presenti diversi caseifici, i cui prodotti ormai vanno ben oltre i confini campani e nazionali, esportati fino negli Stati Uniti ed in Ca-nada.
Montella ha dato i natali ad illustri personaggi: il Casato degli “d’Aquino” con il poeta Rinaldo ed il fratello San Tommaso; Sebastiano Bartoli, professore di anatomia all’Università di Napoli e per primo ebbe l’idea di utilizzare il termometro in medicina. L’elenco è incredibilmente lungo e desidero, solamente, ricordare il Dott. Giovanni Palatucci, "Soppresso a Dachau nel 1945. Medaglia d'oro ebraica. Una via di Tel Aviv e un bosco nei pressi di Gerusalemme portano il suo nome. Nel 1990 lo Yad Vashem lo giudica “Giusto tra le nazioni”.
Il 15 maggio 1995 lo Stato italiano gli ha conferito la Medaglia d'oro al merito civile con la seguente motivazione:
Medaglia d'oro al merito civile
«Funzionario di Polizia, reggente la Questura di Fiume, si prodigava in aiuto di migliaia di ebrei e di cittadini perseguitati, riuscendo ad impedirne l'arresto e la deportazione. Fedele all'impegno assunto e pur consapevole dei gravissimi rischi personali continuava, malgrado l'occupazione tedesca e le incalzanti incursioni dei partigiani slavi, la propria opera di dirigente, di patriota e di cristiano, fino all'arresto da parte della Gestapo e alla sua deportazione in un campo di sterminio, ove sacrificava la giovane vita.»
— Dachau – 10 febbraio 1945.
Dopo questa doverosa descrizione del mio paese natio e luogo dove si snoda tut-ta la narrazione, senza altro indugio, mi accingo alla descrizione dell’originale vi-cenda.

Nei primi mesi del 1940, la Direzione del Banco di Napoli, presente in Avellino, dovendo effettuare in Montella alcune operazioni di incasso-cambiali, ritenne opportuno servirsi dello Studio Notarile del Dott. Ciociola Alfredo. Nello studio spesso era presente il genero del Notaio, il dott. Federico Buttiglio, nativo di Perugia e Medico Veterinario per la Condotta di Montella-Cassano Irpino.
Nel ’42, la Direzione del Banco di Napoli decise di aprire una Corrispondenza per poter effettuare, oltre gli incassi delle cambiali, alcuni pagamenti di piccoli contributi statali agli agricoltori locali. L’incarico fu conferito al Buttiglio, che assunse con piacere anche perché non si trattava di un impiego vero e proprio. La sede era ubicata in Piazza Bartoli. Dopo gli eventi bellici, la vita in paese pian piano si riprese dando vita a nuove attività. Negli anni 50 iniziò il flusso migratorio verso le nazioni limitrofe, rientrando da esse nel periodo natalizio o durante quello del ferragosto. Mensilmente, quindi, arrivarono in paese rimesse di denaro per sostenere le proprie famiglie. Seguirono anni di benessere e si aprirono negozi di oggettistica, di vendita di mobili e ferramenta ,di generi alimentari e macellerie ed anche l’industria del legname era fiorente con la presenza di due segherie a pieno ritmo. Anche un’industria triestina fece la sua parte, smistando il legname sia in Italia sia all’estero. Fu aperta anche un’amplia stazione di servizio AGIP. La Direzione del nostro Istituto, vista la nuova e crescente economia del paese decise di inaugurare una vera e propria “Rappresentanza”, ottenendo dalla Banca d’Italia la concessione di esclusività sulla piazza per 25 anni.
Nel frattempo anche la professione del Buttiglio richiedeva un impegno maggiore e, quindi, si rese necessario, nel gennaio del ’52, l’assunzione del giovane, G.M., diplomato in Ragioneria. In questo modo, il Buttiglio riuscì a gestire entrambi gli impegni in maniera egregia. Dopo tre anni, però, la Direzione conferì al giovane ragioniere l’incarico di reggere la Rappresentanza di Roccaraso e, nel contempo, suggerì al Buttiglio di valersi della collaborazione della propria figliola primogenita. La famiglia era composta di quattro figli, di cui tre femmine ed un maschio. Fu proprio così che iniziò l’alternarsi dei propri figlioli nella conduzione della Rappresentanza, nella funzione di Sostituti del Titolare. Luisa fu la prima ad essere assunta. Conseguita la Maturità Classica, si era iscritta alla facoltà di Giurisprudenza presso l’Università di Napoli e nel ’60, laureatasi a pieni voti, partecipò al primo Bando di concorso di gruppo A, per l’assunzione di 20 Ispettrici di Polizia Femminile. Avendo superato brillantemente le prove, fu destinata alla Questura di Venezia.
Il 10 Ottobre 1961, Luisa raggiunse la sua destinazione. La seconda figliola, Angelina, occupò il posto vacante.
Anche lei, iscritta alla facoltà di Lettere Moderne, giornalmente dette la sua collaborazione nel lavoro bancario.
Nel febbraio 1962 Federico subì una rapina a mano armata ed in quell’occasione dimostrò il suo coraggio. Quando, infatti, nei giorni successivi fu catturato uno dei due banditi, non esitò al riconoscimento dello stesso ed a presentarsi in Tribunale per il giudizio.
Nel gennaio del ‘64 Angelina, dovendosi dedicare pienamente, all’insegnamento presso le Scuole Medie, lasciò l’incarico e, quindi, subentrò la sorella Giuseppina, anch’ella iscritta alla facoltà di Giurisprudenza. Il lavoro in banca si era sviluppato enormemente, in quanto i commercianti avevano adottato la vendita a rate con il pagamento tramite cambiali di piccolo importo. La raccolta di denaro in depositi fruttiferi era rilevante, nonostante la presenza di ben tre Uffici Postali. Gli stessi commercianti erano orgogliosi di essere correntisti del Banco di Napoli, perché, quando si recavano presso i grossisti per integrare le scorte, presentando il carnet degli assegni del Banco, non veniva loro richiesto nemmeno un documento d’identità. Era un biglietto di presentazione! Nel frattempo anch’io avevo conseguito la Maturità Classica nel ’63 e potevo all’occorrenza collaborare. Mi fu data la qualifica di “Coadiutore del Rappresentante”, in quanto avevo solo 18 anni ed a quei tempi la maggiore età era fissata a 21.
Il 20 Febbraio 1967 fui nominato Speciale Mandatario e mia sorella, Giuseppina, laureatasi in Giurisprudenza, si sposò ed andò a vivere a Napoli.
Nell’ Aprile del 1969 il dott. Buttiglio raggiunse il pensionamento per il servizio di Veterinario Condotto, svolto col massimo impegno e, sacrificando, a volte. anche le esigenze della famiglia. I Funzionari della Direzione Generale, incaricati di effettuare periodicamente verifiche a sorpresa, quando venivano a conoscenza della professione del Buttiglio e dell’alternarsi della propria figliolanza nel ruolo di Rappresentante, ne rimanevano meravigliati e nel contempo ne apprezzavano il lavoro svolto con scrupolosità ed impegno costante. A Napoli fu denominato: ” Il Veterinario Bancario o Il Bancario Veterinario”. Figura unica nella storia del Banco di Napoli!
Lavorai duramente, trattenendomi ogni giorno fino a tarda ora per poter svolgere tutti gli adempimenti. Erano quelli gli anni, in cui il tasso di interesse sui depositi vincolati divenne variabile, per cui ogni giorno si potevano acquisire nuovi clienti. Il mio carattere molto aperto e perché appartenente ad una famiglia molto stimata in paese per la serietà, faceva si che le persone più modeste entravano in Banca senza vergogna alcuna in quanto vi trovavano un compaesano loro disponibile, che usava il loro stesso linguaggio, non per ipocrisia, ma per rispetto del loro ceto. Alla fine degli anni ’60 ed inizio ’70 fu rinnovato l’Acquedotto Pugliese dell’Alto Calore che da Cassano Irpino raggiunge Foggia. I lavori colossali furono portati avanti dalla DALMINE Spa e per i pagamenti settimanali dei numerosi operai occorrevano compilare centinaia e centinaia di vaglia. Dopo la chiusura dell’esercizio, dovevo precompilare i vari moduli per poterli emettere l’indomani. Anche in quella occasione la Rappresentanza fu all’altezza della situazione, ricevendo i complimenti dall’Amministrazione della Ditta appaltatrice. Nel giro di pochi anni, la raccolta in depositi raggiunse livelli enormi, per cui, per il Regolamento del Banco, la figura del Rappresentante non poteva più gestire l’ingente giro di affari e, quindi, si rese necessario la trasformazione della stessa in Agenzia. Il 21 Giugno 1972, infatti, fu inaugurata la nuova sede e la nuova Agenzia. Fui assunto in qualità di Cassiere e la mattina del 4 ottobre dello stesso anno presi servizio presso la Filiale di Avellino. Tre anni dopo fui trasferito in Atripalda, dove subii due rapine a mano armata. Dopo la prima rapina dell’aprile del ‘75 la Direzione dispose di dotare l’Agenzia della cabina con il Metal detector. Nel novembre dell’’88, i malviventi, non potendo entrare in banca con le armi in pugno, pensarono bene di parcheggiare, la sera precedente, un “Maggiolino” della Wolkswagen dinanzi all’ufficio del Direttore. L’indomani verso le h. 11,00 entrarono in azione! Due rapinatori erano entrati regolarmente in banca ed appena la macchina ebbe sfondata la vetrata, si impossessarono delle armi, bloccarono la guardia e subito intimarono di mettere le mani in alto e rivolgersi verso il muro. Dare le spalle a dei malviventi armati non è cosa semplice! In quei frangenti pensai ai miei familiari e mi assalì un’ agghiacciante paura! Pensai subito di pregare ed, ad alta voce, incominciai a recitare le “Ave, o Maria”! Sentendo quella preghiera, sia i colleghi che i clienti si unirono anche loro a pregare in silenzio! Dopo alcuni momenti, alquanto concitati, i rapinatori fuggirono con un congruo bottino! A questo punto occorre fare una precisazione. Da quando ho preso servizio in questa Agenzia di Atripalda, per il mio carattere “molto alla mano”, i clienti, non potendomi chiamare confidenzialmente per nome, si rivolgevano a me con il saluto di “Don Mario”. Non potete immaginare quante battute partivano dai miei diletti colleghi! Ritorniamo ora all’episodio della rapina. Quando, ormai, era ritornata la calma e, già erano sopraggiunte le Forze dell’Ordine per iniziare le relative indagini, alla richiesta da parte di giornalista circa lo stato d’animo durante lo svolgersi dell’evento, un collega sentenziò tra l’altro: ”Paura? Don Mario celebrava Messa!”. Il giugno del ’90 ritornai in Filiale e mi congedai il 1° luglio del ’97, concludendo così la mia storia. Ritornando indietro nel tempo, quando la Famiglia Buttiglio era ancora al completo, ricordo le serate di fine d’anno trascorse a trascrivere con matita copiativa ed a tre copie tutti i saldi dei vari depositi( le dita dopo qualche ora rimanevano anchilosate!). Il lavoro si protraeva fino a notte inoltrata ed il brindisi del nuovo anno, a volte era anche rimandato. Ricordo anche che, un pomeriggio d’inverno, l’Ufficio Contabilità della Filiale richiese con urgenza un adempimento, che richiedeva del tempo per portarlo a termine e che l’indomani avrei dovuto spedire. Feci presente delle pessime condizioni del tempo e che di tanto in tanto veniva meno l’erogazione dell’energia elettrica. Erano giorni che nevicava ininterrottamente! Vana fu la mia precisazione! La Funzionaria, C.M., non volle sentire ragioni! A chiusura dell’esercizio del giorno, senza indugiare iniziai a compilare l’elaborato. Verso le 19,00 circa venne meno l’energia elettrica! Il freddo era pungente: senza riscaldamento ed al lume di una flebile candela! Nonostante tutto portai a termine l’adempimento e quando lasciai i locali del banco era verso le h. 22,30 e per la strada c’erano solo i lupi. Si, solo i lupi! In montagna, infatti, la neve era scesa in abbondanza già da diversi giorni, per cui, gli animali selvatici, non riuscendo più a procurarsi il cibo, furono costretti a scendere in paese. Mi armai di un bastone e con una indescrivibile paura riuscii a raggiungere la mia abitazione, che era alquanto distante e, fortunatamente, nella parte opposta rispetto al branco.
Potrei raccontare tanti altri episodi, ma…, se vi ho annoiato, beh, pazienza…! Non era nelle mie intenzioni!

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Mario Buttiglio : Dal "libro dei ricordi"

…Venendo al mondo, la mia indimenticabile Mamma, mi ha trasmesso tutti i suoi caratteri: buoni e cattivi! I cattivi riguardano i problemi fisici (articolazioni ecc.), i buoni , proprio perché tali, riguardano una sfera infinita, che si possono raggruppare nel

“L’essere gioioso della vita, che il Signore ha predestinato per noi qui sulla terra”!


Il Vocabolario Treccani così lo definisce: gioioso /dʒo'joso/ agg. [dal fr. ant. joieus, provenz. ant. joios]. - 1. [che rivela o manifesta gioia: un aspetto g.] ≈ allegro, contento, felice, festante, (lett.) festevole, festoso, gaio, (lett.) giocondo, gioviale, giulivo, ilare, lieto, raggiante, ridente. ↑ entusiasta, esultante, euforico, giubilante, tripudiante

Caratterialmente, i miei difetti sono, senza falsa umiltà, infiniti, ma le fondamenta del mio essere sono un Inno alla gioia e alla pace! Ho un bel timbro di voce, che fin dall’infanzia mi ha dato la possibilità di cantare. Il ricordo più lontano, relativo al canto, mi riporta agli anni ‘53/ ’54 (avevo 8/9 anni), quando imparai una canzone del tempo dal titolo: “Lu Passariello”, cantata da Carla Boni, una valente cantante che era in coppia, anche nella vita, con Gino Latilla. Per l’attuale generazione, nomi questi risalenti alla Preistoria! Si può affermare, senza ombra di dubbio, che era proprio, come si suole dire, il mio “cavallo di battaglia”, in quanto spesso mi veniva richiesto di cantarla. Su YouTube potete ascoltarla!

Cari amici, non ridete, perché quelli erano gli anni del dopo-guerra; gli anni, in cui il benessere economico, timidamente, faceva i primi passi! Mia madre suonava il pianoforte e aveva ricevuto le prime nozioni in Avellino durante i tre anni in cui, con i genitori e la sorella, si era trasferita da Montella, in quanto il suo papà (nella vita era Notaio) il 1917 era stato nominato Capitano Aiutante Maggiore in 1^ al Comando del Distretto Militare. Ricordo che mi faceva venire la pelle d’oca, quando suonava, in particolare, questi intramontabili brani musicali: “La Leggenda del Piave” di E. A. Mario e “La Marcia Turca” di Mozart. Anche la mia prima sorella imparò a suonare e con lei mi piaceva fare i duetti e cantare le classiche romanze e le canzoni delle prime edizioni del Festival di San Remo. La musica ha infiniti poteri su di me! Negli anni ‘65/’71 formammo con gli amici un complesso musicale, di cui ero il batterista. Suonavo ad orecchio! Gli anni di gioventù sono volati come un soffio e la vita mi ha portato su altri lidi. Nel nov. ’76 conobbi la mia compagna di vita, che ho sposato nel sett.’77. Abbiamo vissuto il nostro amore per 40 anni! Durante gli anni felici del nostro matrimonio, quante volte le ho dedicato le classiche romanze d’amore come: “Tu, che m’hai preso il cor…”; “Non ti scordar di me…” o “Come potrei…”, di questa canzone, inedita, le parole sono mie e la musica dell’organista del complesso e termina con la seguente frase: “Come potrei vivere… senza di te!

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Quanti ricordi legati a questa Lambretta! Dal Libro dei ricordi di Mario Buttiglio

LAMBRETTA ButtiglioLa mitica LAMBRETTA- Modello 125 d-del 1952, fabbricata dalla INNOCENTI SPA. - Quando mio padre comprò la Lambretta, io avevo 7 anni ed ero abbastanza alto, per cui con le punte riuscivo a toccare il suolo. Durante le mattinate estive, quando lui era impegnato, di nascosto mi divertivo spingendola a motore spento e saltandovi sopra a mo’ di bicicletta. Così facendo, ne acquistai la padronanza e, quando mi trovavo vicino ad un pendio, davo sfogo a tutta la mia esuberanza e ne combinavo di tutti i colori! Essendo Medico Veterinario in Montella, mio

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Mario Buttiglio in ricordo del nonno materno Alfredo Ciociola . 6 luglio 1919 -6 luglio 2019 centenario dello scoprimento della lapide commemorativa.

Ciociola A Lapide 05 smollCarissimi amici, sono felice di sottoporre alla vostra lettura quanto declamava il mio Nonno Materno, Alfredo Ciociola, nelle vesti di Maggiore di Fanteria, in occasione dello scoprimento della Lapide ai Caduti in guerra, il 6 luglio 1919. Non sto qui, certo, ad encomiare la personalità di mio Nonno, il cui merito è stato quello di credere nell’Ideale della Patria e nella gratitudine incondizionata verso la propria terra natìa. Avvocato prima e Notaio poi, ha speso tutto se stesso per il bene della nostra Montella, portando a termine con successo diverse controversie. Nacque in Montella nel 1874 dai coniugi Giuseppe e Giuseppina Lo Schiavo e fu il 7° di nove figli. Dopo aver

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