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Pozzi, cisterne e fontane pubbliche a Montella negli anni '30 - '50 (ricordi e riflessioni di Nino Tiretta)

001Ai giorni odierni la disponibilità di acqua e di servizi igienici sono elementi ordinari di tutte le abitazioni.

Di contro, un tempo alquanto lontano, in tempi antecedenti alla mia infanzia, questi elementi erano del tutto inesistenti ed inimmaginabili soprattutto nelle residenze di Montella di una volta.

Ordinariamente, in quei tempi, la popolazione nelle proprie misere case non disponeva né di acqua né di “servizi igienici”.

Era il pozzo l’unica fonte per disporre, in casa, di acqua per bere, lavarsi e far da mangiare. Pochissimi erano i pozzi che attingevano l’acqua direttamente dalle falde acquifere, in tal senso più che di pozzi si deve parlare di cisterne, vale a dire serbatoi sotterranei, utilizzati per immagazzinare l'acqua piovana.

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Ogni casa del “ceto benestante” paesano ne aveva almeno uno, ad uso esclusivo; generalmente si trovava nel cortile d’ingresso, al centro ove venivano convogliate e raccolte, durante i temporali, le acque piovane che defluivano dai tetti.

Va comunque ricordato che anche altre pochissime abitazioni del paese (meno imponenti rispetto ai palazzotti dei “signori”) disponevano di cisterne-pozzi i quali erano però situati vicino alle case o alle stalle, nelle aie e potevano anche trovarsi nelle cantine, nei cortili interni o anche negli orti.

Sia i pozzi che le cisterne erano costruiti con una struttura muraria di vario tipo, avevano una “camicia” interna, in mattoni e cemento e presentavano un anello emergente che fungeva da parapetto.

Per attingere l’acqua, esso era correlato di alcuni elementi quali la catena, la carrucola, il secchio e la “grata” di copertura.

Un atro attrezzo che corredava il pozzo era la “greppa”, un attrezzo questo chiamato anche “rampino” o “raschio da pozzo”. Era in ferro battuto e serviva per recuperare i secchi del pozzo che, sganciati dalla corda della carrucola, erano caduti nel fondo. Il recupero era a volte semplice ma a volte complicato e pertanto si usava quell’attrezzo di varie forme e con più meno ganci per il recupero.

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Non esistendo ancora i moderni sistemi di depurazione, l’acqua veniva depurata con l’uso delle anguille che, introdotte nelle cisterne rendevano l’acqua piovana idonea ad essere bevuta perché la purificavano ed evitavano che puzzasse.

Spesso accanto al pozzo si trovava un abbeveratoio per il bestiame e una vasca per usi vari.

Il pozzo, con il suo fondo d’acqua, in estate, poteva trasformarsi in ghiacciaia per refrigerare bottiglie di vino ed altri alimenti.

A quel che ricordo un pozzo pubblico, comunale, si trovava in via S. Simeone, proprio all’imbocco dell’attuale via Serrapadulana tant’è che quel sito era, nella tradizione montellese, denominata appunto “lo puzzo”.

 

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Il Pozzo di San Simeone nel disegno dell’artista Salvatore Pizza

Il pittore montellese Salvatore Pizza in questo suo “disegno storico” ha ricostruito quell’antico pozzo, denominato anche “Tronola” vicino al quale, tra l’altro, si trovava “L’arcuovo a Lamia”, ossia un arco che, come mi ha ricordato, Salvatore Fierro, “serviva, quando il tempo era inclemente, a dare ricovero alla gente che aspettava il proprio turno per attingere l’acqua”.

Un similiare pozzo è tutt’ora esistente a Sorbo, nella “corte re li Marano”, un pozzo questo che ho potuto ammirare, unitamente ad un torchio del 1832, proprio questa estate, nel corso della edizione 2017 della “Festa dei casali.

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Il vecchio pozzo in uso nella “corte re li Marano” a Sorbo

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 Vecchio pozzo ancora esistente ed antistante  ad un’ abitazione di Montella “Alta”

Altri interessanti esemplari di pozzi e di cisterne sono ancora oggi presenti in alcuni storici palazzi di Montella ed altri esemplari possono essere ammirati sia presso il convento di San Francesco a Folloni, sia nel convento della Madonna del Monte e, oltre a quello, noto, del sacro miracolo, anche sulla cima dello stesso santuario del SSS, Salvatore.

Non disponendo né di pozzi, né di cisterne per il resto della gente montellese l’approvvigionamento idrico per uso domestico avveniva sia presso le poche fontane pubbliche sia andando ad attingere l’acqua direttamente al fiume Calore.

E’ già noto che Montella, nonostante la ricchezza di acque del territorio, nei tempi remoti, aveva ineludibili difficoltà nell’approvvigionamento idrico e tale problematicità è stata sussistente fino a quando – negli agli anni 1939/40 - non fu costruito l’Acquedotto dell’Alto Calore,

In una sua ricerca del 2014 Angela Ziviello, parlando delle vecchie fontane di Montella, fa presente che - fra la fine del secolo scorso e l'inizio di questo secolo - l’unica condotta che portava l’acqua in paese era quella che ancora oggi affianca la strada statale 164 delle Croci di Acerno.

Quella condotta prelevava l’acqua della “Scorzella” e la “captava” mediante una diga in legno posta ove attualmente c’è il noto "Ponte del Fascio".

A quel tempo era per l’appunto questa condotta che distribuiva - tramite fontanine pubbliche - acqua al paese, ma unicamente al solo casale della Piazza e agli altri casali più bassi del paese.

La precarietà dei materiali con cui erano costruite la diga e la conduttura facevano sì che, molto spesso, la diga venisse spazzata via dalle piene del fiume e le condutture subivano ingenti perdite lungo il percorso, per cui la portata dell’acqua non era né costante né certa.

In assenza di fontane pubbliche gli abitanti dei casali più alti erano pertanto costretti a rifornirsi d'acqua alle fontane degli altri casali o recandosi, come già detto, direttamente al fiume Calore, nei pressi del "Ponte della Lavandaia".

Angela Ziviello ricorda anche che le vasche per il deposito dell’acqua erano situate in località "Libera" e da queste partivano le diramazioni che poi rifornivano d’acqua sia i casali bassi e sia le altre e poche fontane pubbliche del paese: la fontana della piazza e tutte le altre rispettivamente poste in via Chianche Vecchie, in via Piediserra, in via Pendino, in via Annunziata, sul ponte dei Gamboni e Avanti Corte, nell’attuale piazza Matteotti.

Quest’ultima fontana sorgeva nell’attuale emiciclo, di fronte alla casa della famiglia Montagna e in essa, ahimè, annegò un bimbo per cui il padre, Francesco Montagna, la fece chiudere.

Sul muro perimetrale dell’attuale Villa De Marco, proprio di fronte a Piazzavano, agli inizi del secolo XX secolo, subito dopo il termine della Grande Guerra, funzionava anche un fontanino “offerto” ai montellesi da Celestino De Marco, il ricco “americano” che, in quel periodo, per altro fu, anche, sindaco di Montella.

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La più grande fontana era posta nella parte antistante dell’attuale piazza Bartoli, era a quattro getti ed era ubicata (come si evince anche dalla questa vecchia foto dei primi anni ’30 qui riproposta) tra le due teglie, quasi al bordo della curva stradale di accesso alla stessa piazza, nella zona oggi occupata dalla vasca “donata”, nel 1939, dal Consorzio Altocalore.

Insieme alle fontane pubbliche di cui innanzi, la stessa condotta alimentava una rete idrica “comunale” assai circoscritta e a cui, in quel tempo, erano collegate esclusivamente alcune abitazioni della Piazza, dell’attuale via del corso e della sottostante ed attigua zona del casale “Fontana”.

Mia madre mi ricordava dunque che in quel periodo casa sua disponeva – come altre abitazioni di via del corso - della fontana in casa proprio perché quella originaria e primitiva rete idrica correva rasente al fabbricato di mio nonno Salvatore Ciociola, un fabbricato a due piani, posto prospicente alla Piazza Sebastiano Bartoli, all’inizio del già nominato Corso Umberto Primo e dell’attuale via Don Minzoni.
E’ noto che fu solo all’inizio del 1938, durante il fascismo, che a Montella fu creata una funzionale e provvidenziale rete idrica, vale a dire solo quando nacque il Consorzio Idrico Alto Calore a cui, all’epoca, aderirono 32 comuni della provincia di Avellino e 6 di quella di Benevento.
La costruzione dell'acquedotto "Alto Calore" ebbe infatti inizio nel 1938, e precisamente, la posa della prima pietra fu fatta, in “epoca fascista”, il 29 maggio di quell’anno.

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Fontana pubblica ai tempi dell’Alto Calore

L’opera di fatto utilizzava le sorgenti denominate "Alte del Calore" in quanto sgorganti - per complessivi 150 litri/secondo - nell'alta valle dell'omonimo fiume nel territorio di Montella e si alimentava da diverse scaturigini, esattamente quelle della Madonna della Neve, del Raio della Ferriera, del Cerasa, della Cerasella, della Scorzella, del Troncone e del Tronconcello.

L’avvenimento, a cui presenziò l’allora ministro del lavoro, Cobelli-Gigli, rappresentò, per tutta la provincia e per i montellesi un fatto straordinario.

Nell’ambito della realizzazione di questa imponente ed utile opera, a Montella fu costruita una capillare rete idrica per cui l’acqua “fu portata” in tutti i casali, alti e bassi.

La quasi generalità delle abitazioni ebbe dunque l’opportunità di collegarsi a questo acquedotto e in quella occasione furono altresì attivate molteplici fontane pubbliche, con varie collocazioni, le quali dovevano assicurare, in forma capillare l’approvvigionamento idrico a tutta la popolazione, soprattutto alle famiglie cui, per motivazioni varie e per lo più strutturali, era preclusa la possibilità di “portare” l’acqua direttamente in casa.

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Montella: La monumentale fontana “Alto Calore” di Piazza Bartoli

In piazza Sebastiano Bartoli, contornate dalle due superbe ed alte teglie fu costruita l’attuale fontana circolare, con un alto zampillo centrale ed altri 8 con getto rivolto verso il centro della stessa bella e monumentale fontana, un privilegio questo – bei confronti di tutti gli altri comuni irpini - attribuito, per riconoscenza, alla sola Montella !

In quell’occasione, parallelamente, furono “piazzate” altre e molteplici fontane pubbliche in tutti i “casali” del paese.

Negli anni della mia infanzia ne ricordo tante e con alcuni amici, per lo più miei coetanei, questa estate le abbiamo annoverate, una ad una: erano ben 16 fontane !!

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Una prima fontana era situata nella parte alta di Montella, alla Cappella; un’altra a Sorbo, all’incrocio di via Sorbo e via San Michele, prospiciente al palazzo della famiglia Marano; un’altra ancora al termine di via Sorbo e all’inizio di via San Simeone; un’altra tra via F. Cianciulli, via Filippo Bonavitacola e via F. de Sanctis.

A Garzano una fontana era collocata in via San Nicola, nei pressi della Chiesa omonima; un’altra sulla Serra, in via San Pietro e l’incrocio di via Cagnano; un’altra ancora ai piedi di via Ciociola e Largo Piediserra.

Nei pressi della Piazza una fontana si trovava all’inizio di via Pasquale Colucci e Via dei Favali, un’altra ancora, la fontana “classica montellese”, si trovava poi, nella zona della Chiesa Madre, all’inizio del ponte sul canalone di Santa Maria, in via Michelangelo Cianciulli.

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La vecchia fontana sul Canalone di Santa Maria

 

La Vecchia Fontana

Rispetto alle altre quest’ultima fontana (come appare sia nella gigantografia esposta nell’attuale “Bar de La vecchia fontana” e sia nella sfondo di una “foto storica” di Peppo Sica) era più “rappresentativa.

Questa fontana (sormontata da un specie di robusto “gazebo” in muratura, ricoperto da tegole) era costituita da un tronco alto quasi due metri, in pietra, con vari fregi; su ciascuno dei quattro lati sgorgava, ininterrottamente l’acqua.

L’acqua cadeva in una larga vaschetta, a forma di conchiglia che, sospesa, serviva anche a raccoglierla e a scaricarla nell’adiacente canalone di Santa Maria.

Nelle immediate adiacenze, sul lato destro, quasi a ridosso del parapetto del ponte, vi era un’altra fontana che sgorgava in una vasca destinata ad abbeverare cavalli ed asini.

Un’altra fontana, “ordinaria” (detta anche “Fontana dell’Alto Calore”) era poi nel casale di San Giovanni, dopo la chiesa omonima, quasi adiacente all’ingresso del palazzo delle monache.

Scendendo lungo via del Corso una fontana era a Piazzavano, un’altra ancora si trovava a San Mauro, un po’ prima del ponte e poi un’altra ancora a Santa Lucia e un’altra al “Largo dello Spizio”, proprio di fronte all’attuale parco giochi.

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La fontana in via Pendino, accanto all’attuale negozio di “Biasiello”

Nella zona del casale Fontana le colonne per l’acqua si trovavano all’incrocio di via dei Ferrari e via dell’Annunziata, sul Ponte dei Gamboni e in via Pendino, accanto all’attuale negozio di Biasiello.

Ordinariamente quelle fontane erano in ghisa, inizialmente a getto continuo, inserite in un perimetro pavimentato che ne delimitava l’area di utilizzo, sempre accompagnate da una griglia di raccolta frontale in cui scaricavano le acque che tracimavano sia dalla stessa fontana sia dal recipiente di raccolta.

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fontana 2 fontana 3

Il corpo della fontana si presentava ad erogazione continua, era fornita sia con gancio per sorreggere il secchio sia di una mensola su cui appoggiare il recipiente di raccolta; lateralmente alla colonna di alcune fontanelle era presente la manopola di apertura che comandava l’impianto interno della fontana; in alcune fontane la vaschetta era sospesa e la raccolta dell’acqua era scaricata all’interno della stessa colonna.

Tutte quelle fontane erano sprovviste di vasche per fare il bucato, le uniche due fontane adibite a lavatoi pubblici e munite di “strecolaturo” si trovavano una in via Piediserra, nelle adiacenze delle scale di via Ciociola e all’incrocio di via Piedipastini e l’altra al Largo dell’Ospizio, come già detto, di fronte all’attuale parco giochi, prospiciente alla sede dei Vigili del Fuoco.

Queste fontane si trovavano all’ingresso del paese, dunque in zone strategiche e di passaggio per rientro a casa - dopo una dura giornata lavorativa - di persone ed animali da soma; per tali specificità esse erano corredate anche di una vasca supplementare, destinata essenzialmente all’abbeveraggio del bestiame.

A quel che ricordo quelle 16 fontane, collocate in punti funzionali e accessibili, assicurarono - in relazione alla situazione socio-economica dell’epoca - un egregio servizio e portarono modificazioni di non poco conto.

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La disponibilità e la possibilità di un facilitato approvvigionamento idrico di fatto cambiò integralmente e radicalmente le abitudini e il modo di vita della popolazione che servita, direttamente in ciascun “casale”, da quelle 16 fontane ebbe, finalmente, gratuitamente ed illimitatamente disponibilità diretta di acqua,

Ascoltando direttamente coloro che vissero in prima persona quella nuova e lontana esperienza, la disponibilità di approvvigionamento di acqua da una “fontana di casale” fu definito un autentico e santo “miracolo” e le novità introdotte dall’arrivo di quelle fontane portarono un netto e conseguenziale miglioramento delle condizioni igieniche generali delle case e delle persone.

Certamente c’era sempre la “fatica” del secchio e la necessità di essere sempre vigili alla “riserva” per cui occorreva recarsi più volte alla fontana per l’approvvigionamento, ma, mi ha detto “za Rusinella” (una simpatica ed arzilla vecchietta da me “intervistata”, insieme ad altre sue “coetanee” a Sorbo), la distanza era ragionevole e alla fin fine costituiva una occasione per fare, nella eventuale attesa del proprio turno di “attingimento”, “quattro chiacchere” con i conoscenti nonché per “vedersi” (di sfuggita ed anche d’intesa) con il proprio ………. innamorato !!

Insomma la “iuta a la fontana” assicurava la presenza di più donne (amiche o vicine di casa) che si aiutavano a vicenda nel “caricare la conca” e contestualmente alimentava chiacchiere, curiosità e pettegolezzi e facilitava anche nuove conoscenze.

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La classica “conca montellese, ordinariamente utilizzata per il trasporto dell’acqua

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Altri utensili usati per il prelievo e per contenere , in casa, l’acqua per bere: la conca del sannio e un’altra conca (con “mesciola” e “truocchio”)

Oltre al “secchio”, generalmente per l’approvvigionamento si adoperava la “conga”, di rame e dalla capacità di circa 20 litri che veniva trasportata dalle donne, in testa con l’uso del “truocchio” vale a dire un fazzolettone arrotolato che si interponeva appunto sul capo.

Rispetto alle “conche” in uso in altri contesti, la “conca” adoperata a Montella era parimenti una pentola in rame, ma era tipica, più larga, con manici, fondo concavo, bombata, internamente stagnata e martellata a mano e con un’ altezza e una larghezza di circa 40-45 cm.

Si usavano anche “mesciole” e “ceceni” dalla capacità di 4-5 litri e l’acqua contenuta in questi recipienti era usata, in casa, esclusivamente per dissetarsi.

Il “cecene” era una specie di orciolo; dunque un vaso di creta, a collo stretto, con manici ed era usato, come s’è detto, essenzialmente per contenere e versare acqua o altri liquidi, anche vino.

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Vari tipi di “ceceni”, in creta e utilizzati per contenere l’acqua da bere

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Altri recipienti in rame usati sempre per l’approvvigionamento dell’acqua

Per quantitativi d’acqua maggiore si usavano invece le “varrecchie” vale a dire piccole botti dalla capacità di 20-30 litri; questi recipienti, più pesanti e risistenti, venivano usati per trasportare l’acqua in campagna o in montagna ed era trasportata per lo più sul dorso degli asini, animali questi monto diffusi e utilizzati nella tradizione contadina di allora (e sui quali ho intenzione di scrivere, in avvenire, eventualmente, più dettagliatamente).

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“Za Rusina” mi ha ricordato che l’acqua serviva principalmente in cucina, per lavarsi più spesso (usando “vacili”, “vacinelle” e brocche), di fare (riscaldandola ed utilizzando secchioni e bagnarole) il bagno (a sezioni!) e avendone disponibilità di fare anche "l'abbeverata" del bestiame e il “bucato leggero”.

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La simpatica e vispa vecchietta mi ha ricordato che in casa sua, in cucina, c’era costantemente una grossa “conca” ed anche uno o più secchi che si andavano a riempire d’acqua alla fontana.

Un fiasco o il “cecene” (tappato con un torsolo di pannocchia di granturco !!), venivano sempre riempiti un po’ prima del pranzo direttamente alla fontana, perché l’acqua da bere era così più fresca.

Questo compito, in generale, spettava ai bambini della famiglia.

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“Va a prendere l’acqua che mangiamo!” Questo era il comando che zia Rosina, da piccola si sentiva rivolgere da “suo nonno che conosceva, in famiglia, solo l’imperativo. E lei, con il suo bel fiasco in mano, via alla fontana, che per fortuna era proprio vicina e dunque ci volevano una decina di minuti di tempo tra andata e ritorno”.

Per lavarsi si riempiva il catino d’acqua.

Durante i mesi invernali nella stufa o sul camino, acceso dalla mattina alla sera, vi era sempre un paiolo d’acqua a scaldare di circa 5 litri, per cui almeno nei mesi freddi c’era sempre acqua calda disponibile.

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Il bagno a turno in tinozza

Solo il sabato si svolgeva la cerimonia del bagno completo, dentro una grande tinozza, che veniva piazzata nella stanza più calda (la cucina) e ci si lavava lì, a turno.

Però, dopo due bagni l’acqua veniva cambiata.

In estate ci si lavava con l’acqua scaldata dal sole.

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“Vacili”, “vacinelle”, “tieni vacili”, conche e brocche

I pochi che in camera da letto avevano un catino e una brocca, al mattino d’inverno trovavano l’acqua trasformata in ghiaccio, perché le stanze non erano riscaldate.

Come unico sistema per avere meno freddo nel letto c’erano le pietre o i mattoni riscaldati nella brace del camino ed avvolti in un panno, usati soprattutto per gli anziani.

“ Non ci si fermava mai, se non appunto all’ora della cena consumata in religioso silenzio sopraffatti più dalla stanchezza che dai profumi delle minestre, che bollivano e ribollivano nel paiolo di rame appeso nel camino sotto lo scoppiettante rumore e lo scintillio della legna secca, conferendo ai cibi quel particolare sapore che solo la cottura a “legna” sa dare.

Nel narrarmi questi suoi ricordi zia Rosina aveva una voce allegra, spiritosa, calda, quasi sussurrata e contraddistinta da una commozione condivisa da noi altri che l’ascoltavamo con autentico piacere ed interesse.

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Significativo è notare che, come s’è già detto, allora per le famiglie che “usufruivano” della cosiddette “Fontane dell’Alto Calore” era indispensabile provvedere di volta in volta al prelevamento manuale dell’acqua, era dunque indispensabile provvedere di volta in volta all’approvvigionamento come un inevitabile “seccature” che portava dunque ad un uso molto controllato dell’acqua stessa.

Erano tempi quelli in cui in molte case altre a mancare l’acqua corrente, non c’era, in molti casi, elettricità e, per il bagno la scelta variava da un campo all’aria aperta dietro un cespuglio, o una piccola costruzione col tetto di frasche staccata dalle case con funzione di gabinetto o la stalla dovegli asini e le mucche, all’occorrenza, potevano avere lo stesso impellente bisogno del malcapitato e, quindi, come mi ha narrato in mio anziano coetaneo, inondarlo di urina.

La stalla, mi ha confessato lo stesso amico, rimaneva comunque l’ultima scelta anche perché chiunque poteva entrare in qualsiasi momento mettendo in imbarazzo tutti e due.

A sentirle raccontare ai giovani di oggi le situazioni fin qui descritte possono sembrare assurde abituati essi, oggi, ad avere la facile disponibilità di acqua, a ruotare un miscelatore per modularla a piacere e comunque abituati ad un suo consumo facile, libero e tale, in molte circostanze, da definirne, senza ombra di dubbio, un vergognoso ed ineluttabile spreco !!!

Quel che è certo che l'installazione dell'acqua corrente nelle case di Montella iniziata nell’anno 1938 è, oggi, un processo ormai completato tant’è che tutte le abitazioni di Montella sono fornite di acqua corrente e le vecchie fontane di casale sono tutte, tutte miseramente scomparse.

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Montella - Via San Mauro: la zona ove era collocata la fontana pubblica

Di fatto le robuste e funzionali fontane in ghisa sono state tutte portate via e a ricordarne l’esistenza resta in qualche raro caso unicamente il pavimento perimetrale che, come è ancora evidente in via San Mauro, ne delimitava l’area di utilizzo.

A onor del vero oggi a Montella si trovano altre fontane, ma sono assai dissimili, nella destinazione d’uso, da quelle “classiche dell’Alto Calore”; c’è di fatto una “fontanina” in Piazza Bartoli, un fontanino a zampillo alla Libera e , in piazza Palatucci, un moderno ”fontanello”, idoneo a fornire, a pagamento acqua normale e acqua “frizzante”. Nei pressi del Cimitero c’è infine un’ultima fontana che munita di due sedili in cemento e contornata da una pianta d’edera è finalizzata a dissetare, eventualmente, qualche raro passante.

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La fontana in Piazza Bartoli , il “Fontanello” in Piazza Palatucci e “lo zampillo” della Libera

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La fontana posta nelle vicinanze del cimitero, subito dopo il vecchio “passaggio a livello”
Stranamente e assurdamente a Montella prevale il “gusto” e il “vezzo” di “modernizzare”, di cancellare tracce, soprattutto reperti lontani che testimoniano la storia della comunità.

Di contro in Italia, esistono contesti in cui “non si toglie pietra o chiodo”, in cui è obbligatorio finanche “conservare” il colore delle facciate delle case, in cui l’arredo urbano è meticolosamente rispettato, preservato sempre e comunque e, nel caso in cui una struttura venga mutata per destinazione d’uso, essa conserva inalterati tutti restati elementi prefigurativi.

Sono convinto che la scomparsa di quelle fontane sia un autentico peccato e ( in questa epoca in cui i “segni comunicativi” hanno una funzione formativa e in cui molti bambini sono convinti che le uova si fabbricano nei supermercati) sono anche convito che forse la presenza di una vecchia fontana avrebbe senz’altro offerto, alle nuove generazioni, spunti per fare domande intelligenti oltre che ad assicurare la tutela di ricordi preziosi.

In tal senso, forse, sarebbe stato, figurativamente e storicamente opportuno “mantenere” se non tutte, almeno alcune delle 16 fontane, non fosse altro, come s’è già detto, che per ricordare un aspetto e un periodo della nostra storia locale, un periodo in cui l’attività dell’idraulico …… era poco praticata, in cui la disponibilità dell’acqua era un bene prezioso tanto da precluderne uno spreco immotivato, un periodo fatto di sofferenze, di miserie , di privazioni ma al contempo ricco di solidarietà, di disponibilità , di voglia di aggregazione e di socializzazione.

Erano tempi in cui davanti ad una fontana, passandovi innanzi, conoscenti ed amici, vi si fermavano con frequenza abitudinaria, salutavano e si intrattenevano.

Per lo più erano sempre le stesse persone le quali si fermavano “a chiacchiera”, per un bel po’ di tempo, per il piacere di parlare, come si fa tra amici, del più e del meno o anche per commentare eventi e situazioni.

Erano tempi in cui , sostengono molti miei coetanei, si era felici, ci si contentava di poco, si viveva di sogni, di desideri e di aspettative, in cui, forse, si viveva meglio, più di oggi.

Montella 12 novembre 2017

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