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Università di Bologna

leonardacianciulli01Il caso dimenticato di una donna assassina riaperto da un libro rivelazione
La Saponificatrice di Correggio: dopo 70 anni i criminologi ricostruiscono i delitti
Gli esperti dell'Università di Bologna tracciano il profilo criminale di Leonarda Cianciulli, serial killer di Montella
 «Soda caustica, allume di rocca, pece greca»: sono tre degli ingredienti utilizzati da Leonarda Cianciulli, la prima serial killer italiana del Novecento, per far bollire le sue vittime, dalle quali ricavava saponette e pasticcini da distribuire alle amiche all'ora del tè.
 Ed è anche il titolo del libro curato da Augusto Balloni, Roberta Bisi e Cecilia Monti, un team di criminologi dell'Università di Bologna che ne hanno ricostruito i delitti: movente, dinamica e profilo psichiatrico. A distanza di settant'anni dall'ultimo delitto della «Saponificatrice di Corregggio». Leonarda Cianciulli era originaria della provincia di Avellino, precisamente di Montella; all'età di 37 anni era stata costretta a trasferirsi con il marito e i quattro figli a Correggio, in Emilia Romagna, a causa di un terribile terremoto che aveva devastato la sua casa. Nel giro di poco tempo, nonostante le difficoltà e l'abbandono da parte del marito, era riuscita a conquistare una certa posizione sociale, anche grazie al commercio di abiti usati e all'attività di maga, che leggeva il futuro e toglieva il malocchio. Roberta Bisi, che ha tracciato un profilo psicanalitico della criminale, ha spiegato a Focus: «La Cianciulli era una leader nata e una donna accattivante che col suo fascino puntava ad esercitare un controllo assoluto su chi la circondava, ridotto a mero "oggetto" da sfruttare. Le uniche soddisfazioni le derivavano dalle sue manie di grandezza e dalla deferenza che le riservavano gli altri».

LA MASCHERA - In realtà, dietro la maschera perbenista  di premurosa madre di famiglia, Leonarda nascondeva una personalità inquietante. Tra il 1939 e il 1940 riuscì, con degli stratagemmi, ad attirare nella sua casa piccola ed ordinata alcune conoscenti che finirono i loro giorni stramazzate sul pavimento a colpi di accetta. Si sbarazzò dei cadaveri, forse con l'aiuto di Giuseppe, il figlio prediletto, squartando i corpi che sistemò in un pentolone insieme a vecchie candele e un mucchio di soda caustica, mandando il tutto in ebollizione. Il risultato furono piccole saponette di cui la Cianciulli si liberò in fretta, forse regalandole ad amiche e conoscenti. Quale fu il movente dei sanguinosi omicidi? Il bisogno impellente di appropriarsi dei beni delle vittime oppure semplice follia omicida? Sono le domande che si pongono gli esperti di Bologna e a cui forniscono risposte attraverso uno studio approfondito delle pagine del memoriale della Cianciulli, scritto durante la permanenza nel manicomio psichiatrico di Aversa.

LA CONDANNA - Leonarda Cianciulli fu processata nel 1946, dopo che una parente delle vittime uscì allo scoperto per chiedere delucidazioni sulla vicenda. Fu dichiarata dalla sezione istruttoria della Corte di appello di Bologna seminferma di mente e colpevole di triplice omicidio. Si trattava di una sentenza innovativa per l'epoca: fu condannata a 30 anni di reclusione preceduti da tre anni di ricovero in una casa di cura. Ma fu proprio nel manicomio criminale di Aversa che consumò i suoi giorni, non uscendovi più e morendovi nel 1970, all'età di 78 anni.

IL MISTERO - Ma che cosa si nascondeva nella mente malata di Leonarda Cianciulli? Secondo Balloni: «Il suo delirio criminale scattò poco prima della guerra, quando i suoi due figli maschi più grandi furono dichiarati idonei alla leva. Il terrore di vederseli strappare via, per rischiare la vita sul fronte, causò il black out mentale». «A quel punto scattò in lei l'idea del salvataggio dei figli in cambio del sacrificio umano di altre anime innocenti» spiega Raffaella Sette, sociologa criminale all'università di Bologna. «La superstizione di cui era intrisa la sua mentalità aveva deformato la sua visione della realtà tanto da renderla una donna amorale, incapace di distinguere il bene dal male» continua Sette. «Il suo memoriale rivela anche che Leonarda aveva una doppia personalità» aggiunge Roberta Bisi. «Parlava di sè alternativamente come di Nardina (così la chiamava la madre) o di Norina (soprannome datole dal padre). La prima era la madre che soffriva, la seconda la donna che agiva». Nel suo memoriale intitolato «Confessioni di un'anima amareggiata», Leonarda scrisse senza mezzi termini: «Non ho ucciso per odio o per avidità, ma solo per amore di madre».

 

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