Di Redazione Montella.eu su Sabato, 16 Febbraio 2019
Categoria: Politica

Appello per una discussione aperta che favorisca a Montella la creazione di una lista civica di progresso, meridionalista e antirazzista. (Di Felice Basile)

A pochi mesi dalle elezioni comunali, non sento di alcuna iniziativa pubblica che, coinvolgendo la cittadinanza, proponga un minimo di programma per amministrare il nostro paese. Non una voce dai partiti, dalle associazioni o da gruppi di semplici cittadini. Ritengo la cosa grave perché siamo in un momento difficile per tutte le aree interne, ormai votate a un veloce e disastroso abbandono. È per questo che mi sento di fare un appello, affinché si apra una discussione che coinvolga la parte di cittadinanza che ancora vuole essere attiva.

Naturalmente, la mia non è una generica sollecitazione, rivolta alla gente del fare, ma è una sollecitazione rivolta a quanti credono che sia giunto il momento di rompere con le vecchie logiche amministrative e sappiano o vogliano concepire un programma alternativo. Lo faccio da comune cittadino poiché pur avendo fatto, in epoche piuttosto lontane, il consigliere comunale, sono anni che non sono tesserato a partiti o ad associazioni. Quindi lo faccio da uomo non pregiudizievolmente schierato che peraltro, in questo momento si trova ad avere maggiori simpatie per le tante velleità dei Cinque stelle che non per la irresponsabile responsabilità del PD. I primi almeno pensano, forse in modo confuso, di dover aiutare la povera gente, i secondi quasi mai. Anzi, per loro, è anche peggio, perché tendono a fare blocco sociale con quelli della Lega (che poi dichiarano essere i loro principali avversari), così come dimostrano le manifestazioni unitarie pro TAV di Torino e la pessima legge, da loro promossa, sull’autonomia regionale dell’Emilia Romagna.

Invece di unirsi, senza esitare un momento, alla Lega e al centro destra in difesa delle grandi opere, non era il caso di riflettere su di esse (o almeno sulla TAV), valutandone l’effettiva necessità e avendo un minimo di considerazione per l’ostinata opposizione a tale opera di una grande fetta della popolazione della Val di Susa. Non parliamo poi, della legge sull’autonomia dell’Emilia Romagna, pessima scopiazzatura di quelle promosse da Lombardia e da Veneto (governate dalla Lega), con tutte e tre che si sostanziano (alla faccia della presunta fine delle politiche secessioniste del partito del nord) in un unico punto: mai
più un soldo di quelli del nord a quelli del sud. Dare fiato a gretti localismi è sempre pericoloso, ma lo è soprattutto in Italia dove, in ogni paese, vi è gran parte della popolazione convinta (ed è meglio non misurare fino a qual punto) che la salvezza del suo borgo passi solo attraverso la distruzione di quello vicino, ma … soprattutto, alla faccia del voler ridare ruolo allo Stato. Questo ha senso solo se, in democrazia, è capace di promuovere la perequazione sociale, togliendo qualcosa a chi ha di più per aiutare ad avanzare chi ha di meno. Senza questo compito esso decade in stato di polizia, autoritario, destinato ad alimentarsi di razzismo e di spirito colonialista.
Preoccupa la svolta in tal senso di Salvini, tutto preso dal dare in testa a dei poveracci e dal rassicurare i suoi (la base elettorale nordista) con il “mettiamo al sicuro il nostro tesoro e poi partiamo alla conquista del sud”. Quest’ultima cosa sarebbe risibile se non fosse che, al sud, buona parte della cosiddetta classe dirigente è già pronta a saltare sul carro del vincitore. Nulla di nuovo, sono gli stessi di sempre, quelli che dalla morente balena bianca passarono in massa a Forza Italia ma che già, oltre un secolo prima, passarono in un istante dal gridare “viva i Borboni” a “viva i Savoia”. Fregandosene della povertà della loro gente, con il loro atteggiamento contribuirono all’unica vera vittoria militare dei re piemontesi: la conquista coloniale del meridione.


Come mai un preambolo “politico” così lungo prima dell’appello per la costruzione di una lista comunale? Perché si sente odore di autoritarismo e credo che bisogna averne coscienza anche nel fare una lista locale. A chi mi rivolgo? Al mondo vasto di quanti non si riconoscono nel (presunto) sovranismo della Lega. Quindi agli iscritti di Cinque stelle e PD, ai dispersi mondi della sinistra radicale e del cattolicesimo solidarista. So di incontrare prevalentemente degli scettici, soprattutto nei Cinque stelle, ma se essi non capiscono che i programmi e i candidati non si costruiscono in rete, ma scendendo con i piedi per terra, guardando negli occhi i cittadini e costruendo alleanze con cui portare avanti le loro proposte, sono destinati a durare poco. Non credo che possano accontentarsi di aver macinato i voti che gli sono provenuti dalla sinistra per farne farina per una destra sempre più estrema. Non chiedo che si uniscano a freddo, col rischio concreto che uniscano solo le loro debolezze, ma piuttosto che insieme inizino un processo democratico, di coinvolgimento della gente per un programma innovativo. A prescindere dal fatto che si riesca o meno a costruire una (auspicabile) lista unica, io in questo processo sono pronto ad entrare, per dare il mio contributo, purché non si prescinda da alcuni precisi punti di programma:

1. Costruzione di una lista civica. Senza attendere i tempi lunghi del necessario rinnovo dei partiti, occorre una lista che sappia cogliere le istanze locali per trasformarle in rivendicazioni verso chi governa. Essa si deve basare su candidature giovani e nuove o che, quantomeno, escludano chi ha già amministrato nel passato;


2. Rifacimento del Piano di recupero. Nel centro storico, occorre passare dalle previste e sistematiche demolizioni dell’esistente a l’individuazione di quel che ancora c’è per proporne esclusivamente il recupero. Esso è anche una risorsa edilizia (recuperare abitazioni senza la necessità di nuove lottizzazioni) ma è, soprattutto, testimonianza del passato e come tale va trattato. Un possibile sviluppo turistico passa da qui e può essere fonte di lavoro per tanti. Chissà che, buoni ultimi, se ne convincano pure i montellesi;

3. Revisione del vigente PUC. In generale, alla logica che presiede la redazione dei Piani urbanistici comunali preferisco quella dei vecchi Piani di fabbricazione. In quest’ultimi l’input allo sviluppo del Paese veniva dato dall’Amministrazione con la proposta della rete dei servizi, fossero essi semplici assi viari o di ubicazione di edifici pubblici o quant’altro. Nei PUC si tende a definire in maniera generica (a Montella un po’ troppo) delle aree di intervento territoriale, tralasciando la loro esecuzione ad una successiva fase di contrattazione tra pubblico e privato. Non di rado succede che individuata l’area, la realizzazione viene totalmente delegata al privato che, in pratica, può fare quello che vuole;

4. Ritorno alla logica dei piccoli cantieri. In un momento drammatico per l’occupazione, la logica dei cento cantieri in sostituzione di uno è da preferire perché, quantomeno, se ne avvantaggerebbero le imprese e i lavoratori locali. Mentre è del tutto opinabile che per questa via si avrebbe un incremento degli sprechi, è chiaro che essa è più adatta ad una logica di manutenzione dell’esistente. Infatti, non è più accettabile che mentre si propongono inutili prolungamenti stradali o ampliamenti di aree PIP, turistiche e commerciali, si ha il contemporaneo e totale collasso della restante parte del sistema dei servizi;

5. Accettazione di grandi opere solo quando comportano un vantaggio per il territorio.
Per meglio chiarire il punto forse è necessario un esempio: in una logica che preveda continuità di portata d’acqua del fiume Calore, si può accettare la realizzazione dell’invaso dell’Acera e il rifacimento dell’acquedotto della Cellica. Alla realizzazione dell’invaso preferirei un sistema di sbarramenti e piccoli bacini montani che tendano a rallentare il deflusso a valle dell’acqua. Ma qualora le condizioni geomorfologiche non ne consentano la realizzazione, ben venga pure il bacino.

Alla sua realizzazione deve corrispondere però la fine della captazione di buona parte delle sorgenti montane (a partire dai Candraloni) con l’esclusione solo delle due maggiori sorgenti, le cui acque dovrebbero essere messe a disposizione (anche attraverso il rifacimento della rete esistente) del solo Comune di Montella.
Non so se, con le norme e leggi vigenti, sia possibile attuare un programma di questo tipo.
Oggi, la gran parte di quello che si fa nei comuni dipende dalla casualità, cioè dall’avere pronti progetti che interessano settori dove sono previsti finanziamenti il cui budget (quantità di somme disponibili) è deciso in luoghi lontani (Bruxelles). Nel tentare si corre il rischio di non fare ma, credo che ciò sia meglio dell’inutile strafare.

Felice Basile

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