Di Giovanni Tiretta su Lunedì, 24 Luglio 2017
Categoria: Arte e cultura

La scuola media a Montella negli anni 1950/53 (di Nino Tiretta)

La frequenza della scuola elementare ebbe per me termine, all’età di undici anni, precisamente nell’anno 1950. Stando a quel che ricordo, dei miei vari compagni di classe moltissimi abbandonarono lo studio giacché, in quel tempo l’obbligo scolastico fino a 14 anni non ancora era stato istituito. Di fatto l’iscrizione alla “Scuola Media” era una possibilità accessibile a pochissimi ragazzi e il conseguimento della licenza media era un appannaggio di appena due italiani su dieci.

In sintesi in quel periodo la frequenza scolastica obbligatoria era limitata alla sola scuola elementare giacché “l'obbligo scolastico fino a 14 anni” fu istituito, con la Scuola Media Unica, nel 1963.



Dunque negli anni 50, solo otto ragazzi e ragazze su dieci, vale a dire gli alunni più poveri e più deboli della scuola elementare, restavano a casa o venivano, forzatamente, immessi nel mondo del lavoro, andavano a lavorare o nei campi, o erano “messi a bottega”, dal “mastro” per avere la possibilità di apprendere un mestiere.

Come molti ricordano, a quel tempo, in alternativa alla Scuola Media, c’era la sola possibilità di frequentare una delle Scuole di Avviamento Professionale che - ad indirizzo tecnico, commerciale e agricolo - avviavano i ragazzi al lavoro manuale e li abilitavano, dunque ad un mestiere specialistico.

Per questi alunni sussisteva anche la possibilità per una eventuale prosecuzione di studio per cui il passaggio dalla Scuola di Avviamento all' ITIS (Istituto Tecnico Industriale Superiore) avveniva attraverso un esame di ammissione, quindi si può proprio dire che la Scuola di Avviamento più che “un canale tecnico”, era, come sempre, “la gronda di scarico” verso il lavoro degli alunni più poveri e più deboli.

LA Scuola Media inferiore era invece propedeutica agli studi superiori e all’Università per cui l’accesso a tale scuola era alquanto selettivo tant’è che per iscriversi alla scuola media, al di là dell’esame già “fatto” per il conseguimento della licenza elementare, occorreva superare un ulteriore e specifico “esame di ammissione”.

Era un esame severo, selettivo, con prove scritte ed orali.

Anche io dunque all’età di undici anni, al termine della quinta classe elementare sostenni l’esame di ammissione alla scuola media e ricordo di averlo tenuto, insieme a mio cugino Totoruccio, ad Amalfi giacché le nostre rispettive famiglie, avevano “pensato”, di farci frequentare quella scuola media e di “metterci in collegio” nella vicina Ravello, presso il Convento dei Frati Minori che offriva tale possibilità.

Dopo il superamento dell’esame ci fu un ripensamento, io e Totoruccio restammo a Montella per frequentare la scuola media locale ma fummo (per fortuna per un solo anno scolastico) “messi” - lo stesso - in convento cioè in collegio, a San Francesco a Folloni dove i frati proprio in quell’anno istituirono un ginnasio ed aprirono, per l’appunto, un collegio che accolse ragazzi sia di Montella sia di altre località, per lo più campane.

Oggi a Montella si trovano scuole, dal grado inferiore a quello superiore, tant’è che vi si trovano Scuole materne ed elementari; una Scuola Media Inferiore e una Media Secondaria, di 1° Grado; un Istituto d’Istruzione Secondario Superiore; un Liceo Scientifico e finanche un Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato !

Di contro, in quegli anni lontani, a Montella oltre alle tante scuole elementari esisteva un’unica altra scuola: la “Scuola Media Parificata Comunale” che era allocata in una zona alquanto decentrata del paese.

Si trovava sull’area ove oggi c’è la Comunità Montana, al termine dell’attuale via Don Minzoni, all’incrocio della  Via Ammiraglio S. Pelosi, in un fabbricato, a due piani, già appartenuto alla famiglia Passaro, isolato, tra campi e pochissime altre case circostanti.

Questo fabbricato altre ad accogliere alcune sezioni di scuola elementare era principalmente sede per l’appunto della Scuola Media con la disponibilità di sole cinque stanze.

Vi funzionavano tre sole classi a sezione unica, un ufficio di Presidenza e uno di Segreteria; la scuola era sprovvista di palestra, né disponeva di alcun laboratorio e né di quant’altro oggi considerato indispensabile ed ordinario.

La mia iscrizione alla scuola Media ebbe luogo nell’anno scolastico 1950/51 e in quell’anno, per la prima classe si registrò una consistente affluenza, di circa quaranta alunni provenienti tutti dalle altrettante numerose classi quinte distribuite nei vari “casali” montellesi nonché da alunni provenienti anche dalla vicina Cassano, Ponteromito e Castelfranci.

Montella: “Scuola Media Parificata Comunale ” - Anno scolastico 1950- 51

Il cospicuo numero d’alunni rese necessario, a conclusione del primo trimestre, lo sdoppiamento dell’ originaria e corposa classe in due classi di pari livello, la sezione “A” e la sezione “B”.

Io fui incluso nella sezione “B” e ricordo che la mia classe fu ubicata al piano terra, a destra entrando, in una zona attigua ad altre due aule usufruite da classi di scuola elementare.

Era un’aula alquanto angusta, rettangolare, tanto stretta che i banchi – disposti in due per ciascuna fila - erano allineati in cinque sezioni di cui una era, a destra entrando, molto a ridosso della cattedra.

Mio compagno di banco era Salvatore Fierro, vale a dire “Totore”, figlio di Giuseppe Fierro e dunque fratello di Giacchino e Renato.

Insieme a Totore, “ricostruendo” la nostra esperienza riferita a quel periodo, abbiamo “ripescato nella nostra memoria” tutti i nomi degli altri compagni di classe, esattamente: Vito Molinari, Rolando Di Benedetto, Pio Capone, Bartolomeo Lemmo, Gerardo Perna, Cesare Moscariello, Italo Granese, Salvatore Schiavo, Salvatore Caldarone, Vincenzo D’Ascoli, Bruno Basile, Fulvio Lenzi, Aldo Fiore, Carmine Colicino, Umberto Santoro, Salvatore Gambone, Mario Ricciardi e Giovanni Corso.

A causa delle numerose bocciature registrate, alla fine di quell’anno scolastico, sia nella sezione “A” che nella sezione “B”, il gruppo degli alunni “passati” alla seconda classe fu di nuovo accorpato.

Con Totore (certamente con qualche imprecisione ed omissione) abbiamo ricomposto l’elenco di quel gruppo del 1951/52 che, proveniente dalla Prima A, comprendeva, innanzitutto mio cugino Totoruccio, poi Aretino Volpe, Gerardo Bosco, Franco Lepore, Pasquale Gambone nonché il gruppo delle ragazze, esattamente Giuseppina Buttiglio, Tosca Mongiello, Marcella Moscariello, Licia Palatucci, Ernesta De Simone, Franca Moscariello, Serafina De Simone e Irma Rascionato.

A questo gruppo vanno poi aggiunti i nominativi dei “sopravvissuti” della Prima B ed esattamente, oltre a me e Totore, vanno ricordati Vito Molinari, Rolando Di Benedetto, Pio Capone, Gerardo Perna, Cesare Moscariello, Salvatore Schiavo, Salvatore Caldarone, Vincenzo D’Ascoli, Bruno Basile, Fulvio Lenzi e Salvatore Gambone.

Montella : “Scuola Media Parificata Comunale ” - Anno scolastico 1951- 52

Una classe abbastanza corposa che poi, in classe terza ebbe ulteriori “decimazioni” ed integrazioni tant’è che all’esame conclusivo di Licenza Media eravamo in soli ventidue alunni.

Quegli alunni della terza del 1953/54 sono tutti presenti e riconoscibili nel gruppo fotografico di quell’anno scolastico che li riprede tutti, insieme ai professori di quell’anno e agli alunni delle altre classi.

Montella : “Scuola Media Parificata Comunale ” - Anno scolastico 1952- 53

Guardando dunque quella foto qui riprodotta, partendo in alto da sinistra, si riconoscono: Pio Capone, Lino Parenti, Gargano Giuseppe, Nargi …., Totoruccio Fierro, Vincenzo D’Ascoli, Vito Molinari; poi più giù (sempre da sinistra) : Perna Gerardo, Di Meo Vincenzo (da Volturara), Aretino Volpe, Bruno Basile; nella fila successiva (partendo ora da destra): Salvatore Gambone, Gerardo Bosco, Lo Mazzo Michele, Giuseppina Buttiglio, Ernesta De Simone, Licia Palatucci, Franca Moscariello; seguono i professori Salvatore Di Genova ( per l’ Educazione Fisica), Giuseppe Scandone (per il francese), Buonamenna (per lettere in classe prima), Cariglia Raffaele (Preside e per lettere in seconda), Rossi Vincenzo (per lettere in classe terza, la mia classe), Ninino Dello Buono (per matematica) e poi Irma Rascionato; in corrispondenza del preside Cariglia ci sono io, poi Totore Fierro e a conclusione della fila, seduta, l’ultima ragazza della classe terza, vale a dire Fosca Mongiello da Cassano.

La frequenza della scuola media era alquanto selettiva e impegnativa.

Di fatto gli alunni, dopo tre anni di frequenza, dovevano sottoporsi ad un ulteriore e conclusivo esame, quello di “licenza media” per il quale veniva rilasciato un titolo quanto mai importante e necessario sia per accedere al “ginnasio” sia per il passaggio ad altri studi scolastici superiori.,

Il programma di insegnamento e di studio si articolava su varie materie, per tre annualità di italiano, latino, storia, geografia e di matematica, di due sole annualità di lingua straniera, nonché del disegno, religione ed educazione fisica, senza scienze e senza tecnica.

Richiedeva molta diligenza.

Per l’italiano si studiava grammatica, sintassi e tanta, tanta antologia; si faceva tantissimo “scritto”, soprattutto temi a soggetto, “riassunti” e commenti in prosa di poesie che si imparavano a memoria insieme ad interi brani letterari.

Ricordo ancora l’appassionante “scoperta” della mitologia greca nonché lo studio dei poemi epici di Omero, dell’Iliade in seconda e dell’Odissea in terza.

Si studiava grammatica e analisi logica nonché, già dalla prima classe il latino e tutte le conseguenziali “declinazioni” e traduzioni (dall’italiano al latino e dal latino all’italiano) di frasi e frasi, delle cosiddette “versioni”, di varie favole di Esopo e di Fedro, di brani del “De bello gallico” di Giulio Cesare nonché i tantissimi altri brani tratti dagli scritti di Cicerone, di Cornelio Nepote, Orazio, Livio e Giustiniano.

Insomma “tanta roba” che, insieme allo studio della matematica, a quell’età stimolava a ragionare e avviava, cosi come sostengono studiosi, la mente umana ad un suo migliore sviluppo evolutivo permettendo di acquisire una giusta e più proficua fluidità intellettiva.

Infatti oggi è dimostrato che lo studio del latino, del greco e della matematica apre la mente, insegna a ragionare, spiega la logica, aiuta a comprendere meglio l'italiano e tutte le altre lingue su cui hanno influito.

In altri termini tradurre una versione di latino e di greco insegna l’analisi, la sintassi, l'osservanza del particolare nell'insieme, abitua all'attenzione per gli usi linguistici e per i costrutti lessicali.


Per l’insegnamento di italiano e latino, per tutti i tre anni della scuola media, ho avuto il professore Vincenzo Rossi, una figura questa determinante nella mia formazione letteraria.

Tra l’altro fu attraverso i suoi insegnamenti e le sue sollecitazioni che scoprii il gusto letterario del leggere e dello scrivere e soprattutto fu lui ad “indirizzarmi alla lettura di romanzi, a farmi scoprirne sia i classici sia gli autori più importanti della letteratura mondiale.

Ricordo che, suo tramite, “attingevo” alla biblioteca della scuola ed in modo particolare alla Collana di libri “La Scala d’oro”, una collana, per l’appunto di libri classici, illustrati per ragazzi; era quella, come poi ho scoperto, una collana edita, in quegli anni, dall’UTET di Torino ed era costituita in gran parte da riduzioni di romanzi o racconti classici di autori di tutto il mondo, narrati da scrittori di fama e vivacemente illustrati.

Il professore Rossi era alquanto severo ed esigente; dava soggezione e timore.

Portava spessi occhiali da miope e muoveva le mani nervosamente e in continuazione; aveva la battuta facile, era alquanto ironico, assai critico, pronto ad evidenziare manchevolezze e negatività; pretendeva disciplina, attenzione e perseveranza nello studio.

La sua era una “strategia pedagogica” che comunque, come poi ho scoperto, velava una personalità sostanzialmente bonaria ed altruista, alquanto burbera giacché, alla fin fine, si prodigava essenzialmente per far sì che ciascun alunno si impegnasse e desse il meglio.

Era originario di Guardia dei Lombardi e, quando – negli anni 1979/1980 - sono stato direttore didattico in quel paese dell’alta Irpinia, ho conosciuto alcuni suoi familiari che, parlandomi di lui, me ne hanno evidenziato positività per davvero inattese.

Antecedentemente agli anni 79/80 avevo comunque già frequentato il professore Rossi allorquando, militavamo nello stesso partito politico giacché lui, sposando la professoressa Giuseppina Fierro, si era stabilito definitivamente a Montella e dunque varie ed immancabili erano le occasioni di confronto e di socializzazione per cui, pur persistendo verso di lui la mia lontana “soggezione”, ho avuto, in tali circostanze, modo di consolidare e rafforzare il mio senso di affetto e di stima verso questo autentico e mio lontano “precettore”.

Per l’insegnamento di matematica il primo anno ebbi Pierino Marano mentre in seconda e in terza classe ebbi “Ninino” Dello Buono.

Furono entrambi bravi insegnanti, pazienti e cordiali per cui, quando “facevamo matematica”, il clima d’insegnamento era “disteso”, molto naturale, quasi “goliardico” tant’è che spiegazioni, compiti ed interrogazioni – anziché essere “supplizi” e “sofferenze - furono, per noi allievi, esperienze di crescita .

Fu dunque proprio il ruolo di questi due insegnanti che - per la mia esperienza formativa - mi fece acquisire le basi dell’algebra e della matematica; in altre parole furono i loro insegnamenti e le loro spiegazioni (“facili” e lineari) ad introdurmi nelle problematiche dei numeri primi, delle espressioni algebriche, delle frazioni, delle proporzioni nonché su quelle relative agli angoli, alle circonferenze, alle rette e ai principali teoremi geometrici.

In special modo fu Ninino che, con il suo modo di fare (semplice ed autorevole) mi esercitò a “ragionare e riflettere” per cui, attraverso il suo insegnamento, tutte le “complessità” proprie della matematica”, in quell’esperienza scolastica, mi risultarono ridimensionate e facili da superare.

Per diverse generazioni di giovani studenti montellesi il primo approccio con la lingua straniera è stato sperimentato con “Peppo” Scandone vale a dire lo stesso insegnante che, all’epoca in cui io frequentavo la Scuola media, fu il mio insegnante di lingua francese.

In quegli anni la conoscenza delle lingue straniere era assai rara e Giuseppe Scandone all’epoca era iscritto all’Università di Napoli, al corso di lingue straniere, conosceva e parlava il francese, l’inglese e, da autodidatta, era altresì interessato al tedesco e al russo.

Lo ebbi come insegnante in seconda e terza classe, due anni consecutivi e alquanto determinanti per il periodo di crescita evolutiva di noi alunni.

Peppino Scandone, senza ricorrere ad atteggiamenti autoritari sapeva far scaturire da noi alunni un comportamento rispettoso, positivo, cooperativo e indirizzato all’ascolto reciproco.

Era capace di valorizzare gli allievi incentivando le discussioni; catalizzava l’apprendimento anche con insegnamenti pratici quali la comparazione dei vocaboli d’uso pratico, la recita della preghiera in francese nonché con il canto marziale della Marsigliese!

Il professore era una appassionato della musica (suonava il pianoforte, la fisarmonica e il violino), disegnava e dipingeva, era un appassionato della natura, era “innamorato” delle nostre montagne, di Verteglia e dei suoi monti.

Tutte queste sue predilezioni e “competenze” le trasferiva nell’insegnamento per cui, almeno per me, è stato un esempio, una guida per la condivisione di conoscenze, interessi artistici e di sentimenti.

A conclusione di quella mia frequenza scolastica, in un’epoca successiva, ho frequentato da “amico” il “professore”, fu lui a guidare me ed altri miei amici coetanei (Aretino Volpe, Pio Capone, Bruno Basile, Guiduccio Moscariello, Salvatore dello Buono ed altri ancora) nella scalata, con zaino in spalla, del Monte Terminio (con addiaccio e vista, all’alba, del golfo di Salerno), della Falconara e di tante altre vette locali.

Per i miei susseguenti studi universitari mi sono visto in necessità di richiedere un “aiuto” al mio “professore” sia per lo studio della lingua inglese e sia per la preparazione della mia tesi di laurea (tradusse per me un testo importate e non in commercio ) e  tali circostanze hanno dunque ulteriormente rafforzato un legame empatico, di stima e amicizia che il tempo non ha assolutamente scalfito.

Per quanto riguarda l’insegnamento della religione, nei tre anni di frequenza della Scuola media ho sempre avuto don Ferdinando Palatucci il quale, in quel periodo era, come è già noto, anche parroco della parrocchia di San Pietro.

Il rapporto con don Ferdinando è stato sempre differente da quello da me avuto con gli altri “professori” e le sue lezioni, anche se caratterizzate da una identica cordialità, si svolgevano sempre con toni comunque meno confidenziali, molto rispettosi ed essenzialmente condizionati dal suo ruolo d’essere un sacerdote, un ruolo che, in quell’epoca, creava ed imponeva “soggezione” ed un inevitabile distacco.

Don Ferdinando, come tutti gli altri professori, era affabile e di lui, durante quella mia lontana frequenza scolastica, ricordo soprattutto le sue lezioni ben articolate; erano sempre piacevoli ed interessanti, “colorate” anche con “pittoresche” espressioni dialettali e soprattutto perché vivacizzate dall’uso di un “proiettore a diapositive fisse”, un sussidio didattico che in quell’epoca (non ancora inondata da immagini fotografiche, da rotocalchi, giornali e televisione) era assai importante e suggestivo.

Egli ci “affabulava”, in modo particolare quando, durante le sue lezioni, ci parlava dei suoi ricordi, quando ci descriveva la Montella di una volta, delle sue leggende, dei suoi briganti e soprattutto quando ci parlava dei personaggi montellesi, quelli illustri, da Rinaldo d’Aquino a Sebastiano Bartoli, da Francesco Scandone a Giovanni Palatucci vale a dire quei personaggi le cui biografie, oggi, sono disponibili anche sul portale di Montella, nella sezione turismo.

Come ho già in parte anticipato gli altri miei insegnati di quel periodo scolastico furono per il disegno “Tanino” Di Benedetto e per l’educazione fisica, il primo anno Carmelino Bettini e Salvatore Di Genova per gli altri due anni successivi.

Anche con tutti questi ultimi “professori”, con il trascorrere degli anni e al di là delle rispettive differenze di età, si sono poi create occasioni e situazioni per cui i nostri rapporti si sono caratterizzati, reciprocamente e con ovvie differenze, con crescente simpatia, amicizia sincera e stima illimitata e tutto ciò in modo particolare con Ninino Dello Buono e con Carmelino Bettini (quest’ultimo - per altro - come me “chiazzaiuolo”, confrate della stessa Arciconfraternita nonché, per un ceto periodo, collega professionale) !

Quelli dal 1950 al 1953, furono anni comunque determinanti per acquisire molti doveri e pochissimi diritti, sensi di responsabilità, nonché per acquisire una cultura e una formazione di base, un metodo di studio, elementi tutti questi propedeutici sia per gli studi successivi e, in alternativa, anche per le varie ed altre attività professionali.

Furono anche anni belli, spensierati, allegri; anni che segnarono il passaggio graduale dalla fanciullezza all’adolescenza; anni in cui cominciava ad emergere la tendenza a sperimentare situazioni ed emozioni nuove, in cui si affacciavano sentimenti ed aspirazioni, in cui si aspirava ad avere maggiore indipendenza dai genitori e a trascorrere molto tempo con i coetanei.

Fu quello un periodo in cui, dando molta importanza all’amicizia, ci dedicavamo ad attività di gruppo, prevalentemente con amici dello stesso sesso con i quali sfidavamo le regole, mettevamo alla prova i nostri limiti, facevamo escursioni, esperienze e giochi anche temerari; con i quali, tra l’altro, sperimentammo l’iniziazione a “bacco, tabacco e Venere” ossia a bere qualche “bicchierotto”, a fumare le prime sigarette e ……a “pugnettare”! ! !
Noi quattordicenni vivevamo, allora, di sogni, di desideri e di aspettative; erano anni in cui, a differenza degli adolescenti odierni, alla fin fine ci contentavamo di poco e in cui, senza contestazione alcuna, sottostavamo, sempre e comunque, senza fiatare, al rigore e alle prescrizioni che c’erano imposti sia in famiglia che a scuola.

In quei tempi per noi ragazzi non c’erano televisione, videogiochi e quant’altro dell’epoca corrente; le nostre giornate erano dunque caratterizzate da mattinate a scuola e pomeriggi interi “spesi”, senza distrazioni, a fare compiti nonché ad assolvere a “servizi” ed incombenze varie in casa.

Ricordo per esempio che, come tanti altri miei coetanei di allora, ero io a rifarmi il letto, a sistemare e a tenere in ordine le mie cose, la mia stanzetta, a dare aiuti in casa, collaborando, per esempio, ad apparecchiare e sparecchiare la tavola, a svolgere piccole mansioni come quella di andare per negozi; insomma si collaborava e si mantenevano responsabilità crescenti.

Erano tempi in cui, come bene ricorda Francesco Guccini, “non c'erano per scrivere, sms o e-mail, ma si doveva dichiarare guerra ai pennini e uscire da scuola con le dita imbrattate d'inchiostro”.

Tempi in cui, d’estate, si andava al fiume a fare il bagno; in cui si poteva andare al tabacchino, comprare una sigaretta - una sola - e fumarsela dove meglio pareva: non c'erano divieti, e i fumatori non erano una gran brutta razza.

Erano tempi in cui i bambini non cambiavano guardaroba a ogni stagione, andavano in giro prima con i pantaloncini corti, anche d'inverno e poi con i pantaloni alla zuava, in cui calzavano “sandali” e scarpe con le “centrelle”;.

Tempi in cui la televisione e la Playstation non c'erano, si giocava tutto il giorno per strada e forse ci si divertiva anche di più.

 

Tempi in cui, dove era possibile, si faceva il pane in casa, si allevavano galline e conigli, si “cresceva” e si ammazzava il maiale, si facevano - sempre in casa – “ielatina”, salsicce e “sopersate”; d’inverno si usava la maglia di lana, il “braciere” e prima di andare a letto si usava lo “scaldino”; non c’erano vasche da bagno né docce, ci lavavamo a “sezioni” in “secchioni” e “bagnarole”.

Erano tempi in cui c’erano i treni a vapore, i cantastorie di piazza, il caffè d’orzo, i vespasiani, le cartoline, pochissime auto in giro, i calendarietti dei barbieri, la carta carbone, le granite, le letterine di Natale, l’idrolitina, la pompetta del Flit, …….

Insomma altri tempi in cui la “musica” era diversa, assai diversa da quella di oggi e di cui ho …….tanta, tanta, tantissima nostalgia.

Rimuovi Commenti