Di Giovanni Tiretta su Mercoledì, 29 Agosto 2018
Categoria: Arte e cultura

I giochi di una volta a Montella - Parte 1 (di Nino Tiretta)


(I giochi di strada, di gruppo e d’intrattenimento)

 Pedagogicamente parlando è a tutti noto che Il gioco segna un’azione formativa importate. 

La moderna pedagogia, sulla scorta della psicologia e di tutte le altre scienze collaterali, ha di fatto dimostrato che, inequivocabilmente, il gioco stimola l’inventiva, la curiosità, la manualità e l’ingegno e parallelamente ha documentato che esso concorre a far sì che il bambino, attraverso questa istintiva attività, sviluppi, progressivamente, la propria socialità nonché tutte le potenzialità necessarie per adattarsi ed avvicinarsi alla società degli adulti. 

Esistono varie forme di attività ludiche

rapportate tutte alle varie fasi di crescita e di sviluppo; per cui, per una opportunità di sintesi espositiva, reputo “agevole”, al momento, focalizzare l’attenzione ad una specifica tipologia di attività ludiche, precisamente a quei giochi, cosiddetti di strada, che, per una lontana e consolidata tradizione paesana, venivano praticati al tempo della mia lontana infanzia.

I giochi praticati a Montella, negli anni ’40-’50, erano tantissimi per cui, in questa mia argomentazione ne ridimensionerò la descrizione, limitandomi, per opportunità espositiva, a ricordarne (con immancabili imprecisioni e comprensibili omissioni) solo alcuni, esattamente quelli che si facevano prevalentemente per strada o nei tanti spazi naturali che l’ambiente paesano, a quel tempo, concedeva a noi ragazzi.

Erano giochi appartenetti al “fondo comune della tradizione locale”, vale a dire “i giochi di sempre” e che ciascuno ha imparato dall’altro, gli stessi che, d’altra parte, risultano appartenere ad altre tradizioni paesane sia regionali che nazionali.

Di fatto, una mia ricerca su questo argomento mi ha chiarito che molti dei giochi di mia conoscenza sono largamente e parimenti praticati in giro per l’Europa, suppergiù sono (anche se modificati ed adattati a varie condizioni ed abitudini ambientali) gli stessi, il più delle volte sono i nomi e le regole a cambiare ma, nella sostanza hanno tutti “un fondo comune di tradizione” giacché, di fatto, sottendono tutti il piacere di “far parte del gruppo”, al “mettersi alla prova”, al riuscire a superare le varie difficoltà.

Ripensando ai nostri giochi, con i miei amici e coetanei montellesi ne abbiamo stilato un elenco dettagliato, un elenco corposo, distinto, per opportunità espositiva, tra “giochi di noi maschi” e di “quelli delle femmene”.

Infatti, in quel tempo, i maschietti e le femminucce giocavano per proprio conto, non c’era mescolanza e pertanto, già in età infantile, sussisteva una drastica separazione anche perché i giochi, riferiti al sesso, erano diversi tant’è che sia le bimbe e sia i maschietti avevano giochi “loro”, esclusivi, giochi da poter “fare” direttamente, da soli, per “trattenimento”, in piccolissimi o in gruppi molto allargati.

Erano tempi diversi, non c’era traffico e noi ragazzi e ragazze ci riunivamo “sotto casa”, nei cortili o negli “slarghi” del “casale" o, soprattutto nelle strade; si giocava con quel che si trovava.

In definitiva solo qualche ragazzo fortunato era possessore di una bicicletta, di un monopattino, di un paio di pattini a rotelle o di un vero pallone di cuoio; tutti gli altri, la stragrande maggioranza, erano ragazzi che “possedevano unicamente e solo la voglia di giocare”.

Bisogna ricordare che a quei tempi non esistevano a Montella “Oratori delle Parrocchie” e la villeggiatura era solo riservata ai “signori” o a dei fortunati che avevano parenti in località marine o montane per cui, soprattutto d’estate, l’ “istinto libertario” dei ragazzi esplodeva nelle strade divertendosi e svagandosi in forme naturali, semplicemente inventando giochi, fatti di niente ma dove era necessario dimostrare bravura, forza e scaltrezza.

Bastava l’androne di una casa, un albero, un palo delle “luce”, un cespuglio, una palla, una pietra: nella realtà di allora era sufficiente che ci fossero degli amici, coetanei anche se li si conosceva poco.

La voglia di giocare facilitava la socializzazione, animava lo scambio culturale e di esperienze, c’era il piacere di far parte del gruppo, di stare in costante movimento, di mettersi alla prova riuscendo, con bonaria competizione, a superare le difficoltà.

Il “gioco con le bambole

A quel che ricordo le bimbe, come loro giochi esclusivi, praticavano il “gioco con le bambole” che, fatte in forma semplice ed artigianale, “accudivano”, come se fossero state dei veri neonati, imitando il ruolo e le azioni svolte dalle loro stesse mamme.

Le “bambole”. il più delle volte, erano di “pezza", fatte in casa, in modo sommario e molto approssimativo.

In alternativa era possibile acquistarle dalle “bancarelle” che, durante le feste patronali del S.S.S. Salvatore o della Madonna delle Grazie, erano allineate, addossate al muro perimetrale della Chiesa Madre, all’imbocco dell’attuale via Michelangelo Cianciulli.
Erano anche quelle bomboline semplici, fatte anch’esse con stoffa, con forme appropriate, imbottite con trucioli, con la testa di cartapesta dipinta, con capelli di stoppa colorata e con vestitini semplici ma vivaci.

Ricordo che quelle stesse bancarelle mettevano in mostra e vendevano anche “cartelle” con pendole, piatti e tazzine in miniatura, palle di pezza con elastico (che si facevano oscillare come un “yoyo”), cagnolini e orsetti anch’essi imbottiti con trucioli, cavalluci di cartapesta (posti su una base con piccole ruote e da trascinare), fucili e pistole in legno e “latta”, con tappi (che - legati a uno spago - una molla spingeva, a pressione, con un piacevole schioppo), pupazzi meccanici che battevano i “piatti”, macchinine e motociclette a molla, zufoli di latta, piccoli coltelli, “zampognette”,  lingue di Menelicche e tanta tanta altra “povera robetta”.

Nel gioco delle bambole, non disponendo degli utensili in miniatura di cui innanzi, tappi di “gassose”, scatoline, vasetti, piccoli recipienti e manufatti, con la magia della fantasia e dell’immaginazione, per le bimbe si “trasformavano” in pentole, piatti e aggeggi vari con cui si “cucinava” e si giocava appunto alle “mamme” e alle “signore”.

Il gioco “a la bbandiera”

Tra i giochi di gruppo maschili, il gioco “a la bbandiera” o dell’ “arrobba bandiera” era senza dubbio alcuno, quello più conosciuto e praticato.

Era un gioco di gruppo e vi potevano partecipare molti ragazzi che in numero anche superiore a 10, formavano due squadre (ogni squadra era , dunque, composta di almeno 5 giocatori).

La "conta"

Con una “conta” veniva deciso chi dovesse fare il "porta bandiera" il quale si metteva a una estremità della linea, al centro del campo di gioco.
Le squadre, invece, in fila l'una di fronte all'altra, stavano distanti ognuna circa 15 passi dalla linea al centro del campo.

Ogni giocatore aveva un numero, che cambiava a seconda della posizione che occupa nella fila.
Ad esempio: i primi della fila delle due squadre erano i numeri “1”, i secondi erano i numeri “2”, e così via.

Il " porta bandiera" teneva la bandiera (un fazzoletto bello grande) con il braccio teso e chiamava un numero a caso: due!

I numeri “2” delle due squadre dovevano scattare in avanti, raggiungere la bandiera senza superare la linea che divideva il campo (altrimenti si era eliminati) cercare di prendere la bandiera prima dell'avversario e tornare di corsa al proprio posto senza mai farsi toccare dall'avversario durante l'inseguimento.

Assegnava un punto alla propria squadra chi riusciva a conquistare la bandiera tornando al proprio posto senza farsi prendere.

Se il giocatore era invece raggiunto prima di mettersi in salvo, il punto era assegnato all'altra squadra.
A questo punto i giocatori riprendevano il loro posto nelle rispettive file e il " porta bandiera” passava ad una successiva chiamata.

La regola più severa era quella che stabiliva che non bisogna toccare l'avversario prima che quest'ultimo avesse preso il fazzoletto in mano, pena la perdita del punto.

Il gioco della “Palla a muro”


Di contro un gioco di pertinenza esclusiva delle ragazze era senz’altro quello della “Palla a muro”, un gioco molto spassoso che si poteva fare da sole, in due o in un piccolo gruppo, a turno, che richiedeva abilità e che aiutava a sviluppare coordinazione e concentrazione.

Era molto semplice e consisteva nel tirare una palla contro un muro per poi riprenderla senza farla cadere.

Le regole che governavano il gioco erano dettate dalla stessa “filastrocca” che veniva recitata dalle bambine mentre eseguivano i palleggi prescritti.

Mediante la “conta” si stabiliva l'ordine in cui le bambine dovevano iniziare la gara dei palleggi.

L'unico errore che non si poteva commettere era quello di far cadere la palla. In questo caso la penalizzazione consisteva nel perdere il possesso della palla che veniva passata alla bambina che seguiva nell'ordine della conta. Quando toccava di nuovo a lei, riprendeva il gioco dal punto della sequenza in cui le era caduta la palla.

Il gioco era molto diffuso tant’è che le filastrocche e le prove di abilità variano da località a località, alcune inventate al momento dalle bambine più fantasiose, altre invece più tradizionali.

La filastrocca che veniva recitata in genere non era altro che una dichiarazione ad alta voce degli esercizi che la giocatrice stava eseguendo.

Vinceva il gioco chi per prima riusciva ad eseguirli tutti. L'ultima faceva una penitenza.

Una mia conoscente, su mia sollecitazione, ha “ricostruito” la filastrocca che, ai suoi tempi, recitata con ritmo regolare e costante, accompagnava, a Montella, il gioco della “palla a muro”.
La filastrocca era questa: muovo, non mi muovo, rido, non rido, con un piede, con una mano, battimano, zigo zago, violino, tocco terra, la ritocco, mulinello, giravolta, orco / orchessa, un bacino e gasso.


Come è evidente il gioco alla fin fine era basato più o meno da una serie di esercizi, e soltanto una giocatrice molto abile riusciva ad eseguire tutta la sequenza senza sbagliare.

Il girotondo

Tra i vari giochi di gruppo, un gioco assai praticato era “il Girotondo”.

Era molto semplice e largamente conosciuto giacché, in special modo, si faceva nei cortili degli asili (le attuali scuole dell’infanzia) e delle scuole elementari.

I partecipanti erano molti, sia bambini che bambine i quali, come è noto, tenendosi per mano e formato un grande cerchio umano, cominciavano a girare in tondo sempre nello stesso verso. Nel muoversi si cantava una filastrocca alla fine della quale ognuno si doveva sedere velocemente per terra: Perdeva chi era l’ultimo a sedersi.

La filastrocca recitava: “Giro, giro tondo casca il mondo, casca la terra, tutti giù per terra”.

La “Mosca cieca

Altro gioco tutto femminile era “Mosca cieca”; lo si giocava in una stanza abbastanza grande e vuota ma, nelle calde giornate estive, lo si giocava soprattutto all’aperto.

Da una mia ricerca ho scoperto che la “mosca cieca” è un tradizionale gioco da bambini diffuso in molti paesi del mondo; è un gioco molto antico tant’è che lo scrittore romano Microbio lo citava nel V secolo. E’ un gioco che ebbe una grande diffusione e popolarità nell’Inghilterra Vittoriana dove era praticato anche dagli adulti.

All’inizio di questo gioco una giocatrice - scelta a sorte - veniva bendata e “diventava” quindi la "mosca cieca"; con questa bendatura la prescelta doveva riuscire a toccare le altre bimbe, che potevano muoversi liberamente all'intorno. Nella variante più comune, quando la "mosca cieca" toccava un giocatore, quest'ultimo prendeva il suo posto.

Altre varianti del gioco prevedevano che la "mosca" dovesse (senza togliersi la benda) riconoscere il giocatore catturato a ciò che la cattura avesse effetto valido.

Rispetto a quelli delle “femmene”, i giochi dei “maschi”, erano giochi un po’ più complessi ed impegnativi nel senso che esigevano velocità, corse sfrenate, strategie d’azione, cooperazione; erano giochi educativi, che aiutavano il corpo e la mente ad essere attivi, creativi, giochi insomma che sviluppavano molteplici capacità motorie.

La Cavallina

Ecco che, tra i giochi di gruppo tipici ed esclusivamente maschili va, senza dubbio, ricordato quello della “cavallina”.

Era un gioco molto praticato, la cui dinamica è molto somigliante allo sport olimpionico del salto del cavallo; pur se tramandato di generazione a generazione, di esso non è ben identificato il periodo di sicura origine; di contro si sa che esso era già in uso agli inizi del novecento ed è considerato “espressione di intelligenza, agilità e coordinazione”.

Il gioco della “cavallina” era un gioco molto diffuso tra noi ragazzi anche perché per poterlo giocare non serviva proprio nulla nel senso che un gruppo di ragazzi si trovava e bastava dire “giochiamo alla cavallina” e subito ci si organizzava; molte volte anche a scuola sia prima dell’orario scolastico, sia durante la ricreazione e sia al termine, prima di ritornare a casa.

Un volontario si metteva piegato verso terra, con le mani sulle ginocchia e a turno si faceva saltare dai compagni vocianti che lo sormontavano di corsa sulle spalle come fosse un quadrupede.

Questo gioco lo si praticava ovunque sia per strada che sui prati, tanti erano i ruzzoloni sull’erba e spesso si tornava a casa con le ginocchia dei pantaloni colorate dal verde dell’erba per cui erano inevitabili sgridate e punizioni.

La “zomba cavallina”

Del gioco della “cavallina” c’era una variante più "impegnativa, per veri “mascoli”, una variante chiamata “zomba cavallina” o anche “Uno, spunta la luna” e che era assolutamente più “tosta” e forse più pericolosa.
In questo gioco i bambini si dividevano in due squadre che a turno "stanno sotto" o che "saltano".

La squadra dei “sotto” era formata da un ragazzo che appoggiato a un muro o anche seduto  sullo scalino di un portone o del marciapiede faceva da “mamma”, vale a dire da appoggio; egli reggeva la testa del primo ragazzo della sua squadra il quale faceva, così, da capofila agli altri ragazzi i quali erano piegati, uno dopo l’altro, ognuno con la testa tra le gambe di chi lo procedeva, disposti a “trenino”, pronti ad accogliere e a sopportare il salto dei componenti dell’altra squadra.

Gli appartenenti alla squadra dei saltatori, dopo una breve rincorsa, saltavano, a turno, uno dietro l'altro e si gettavano su quelli che stavano sotto, aggrappandosi uno all’altro sul cordone avversario e facendo contestualmente “forza” affinché il trenino “scocochiasse” ossia crollasse cedendo al gran peso degli avversari.

Una regola del gioco stabiliva che “i sopra” non dovevano cadere né toccare con i piedi per terra, dovevano dunque cercare di non cadere per tutto il tempo in cui si contava, con lenta cadenza, fino a un dato numero, altrimenti perdevano e passavano “sotto”.

Ricordo che i saltatori dovevano pronunciare delle frasi e compiere dei gesti ad ogni salto; i salti erano una quindicina e altrettante le frasi di cui però si ha memoria solo di pochissime e gli amici, miei coetanei, come me, ne ricordano solo qualcuna.


La “zomba cavallina”

Un gioco molto semplice e assai praticato dalle bimbe era quello di “Acqua, fuoco e fuochino”.

Si praticava all’aperto e per farlo occorreva un qualsiasi piccolo oggetto, anche un sassolino.

Si faceva la conta e alla bimba prescelta venivano coperti gli occhi, con le mani o anche con una benda; ciò fatto un’altra bambina, stando attenta a non fare rumore, nascondeva l’oggetto.

Posta in condizione di poter rivedere liberamente, la “prescelta” doveva “scoprire” l’oggetto nascosto e nella sua ricerca era aiutata dagli altri bambini che indirizzavano il ritrovamento utilizzando le parole “acqua… acqua” se il cercatore si allontanava dal nascondiglio; “fuochino …. fuochino” se si stava avvicinando; “fuoco… fuoco” se era molto vicino.

Così guidata la bambina circoscriveva la zona d’ispezione e cercava solo in quella zona finché non trovava l’oggetto nascosto.

L’ “annaccui”

Un gioco fatto di niente ma col quale ci si divertiva in un modo incredibile era quello detto “annaccui” o anche “tana”; un gioco questo che in altre realtà è semplicemente noto anche come "Rimpiattino”.

La cosiddetta "tana" in effetti designava il riferimento di “partenza e di arrivo” del gioco e spesso era identificato nella porta di una casa, in un palo di luce elettrica o anche in un tronco d'albero.

Il gioco iniziava con la designazione di chi doveva "stare sotto”; l’individuazione avveniva tramite la "conta", o anche con una filastrocca che si concludeva per lo più con una frase del tipo "tocca a te!".

Il prescelto doveva poi contare ad occhi chiusi fino ad un numero concordato tutti insieme (30, 40, 50 anche 100, anche di più) mentre gli altri partecipanti al gioco andavano a nascondersi.

Una volta conclusa la conta, chi "stava sotto" esclamava “chi è dinto è dinto e chi è fore è fore “ ed iniziava a cercare i compagni di gioco.


Avvistatone uno doveva gridarne il nome (a volte anche toccarlo) e correre fulmineamente verso la "tana" insieme al giocatore appena scoperto.

Il primo dei due che raggiungeva la "tana" doveva toccarla e gridare a squarciagola "tana!" o anche “Tangi”, dal latino “Tangi: ho toccato”.

Di conseguenza il meno veloce dei due doveva "stare sotto" a sua volta e riprendere la caccia ai giocatori nascosti.

Chi riusciva a raggiungere la "tana" con successo poteva così gustarsi il resto del gioco da puro spettatore.

Il gioco del “Tocco ferro” era un simile alla “tana” ma in effetti era assai più semplice.
Si iniziava con la “conta” e si stabiliva il giocatore che stava “sotto”; gli altri giocatori si sparpagliavano lungo il campo di gioco che, come già detto, poteva essere un prato, un cortile, una strada.

Il giocatore che stava “sotto” doveva cercare di acchiappare uno dei concorrenti che, se toccato, doveva, a sua volta andare “sotto”.

Quando i giocatori toccavano “fiérro” godevano di una speciale immunità e pertanto non potevano essere presi.

Alcune varianti del gioco consentivano di sostituire il ferro con un muro, un palo cosicché il gioco cambiava nome e diveniva “tocco muro”, “tocco palo” ecc.


Il gioco di “Papagirolamo”

Un tempo, un altro gioco di gruppo, divertente e molto praticato era quello di “Papagirolamo”.

Papagirolamo” era un ragazzo, designato per “conta”, che, uscito dalla sua “casa”, saltellando su un’unica gamba doveva “acchiappare” e “fare suoi figli” tutti gli altri giocatori; questi ultimi - muniti di un fazzoletto terminante, in una sua estremità, con un nodo bitorzoluto – gli giravano intorno, per tutta una zona concordata e delimitata.

Nel momento in cui, ormai stanco, “Papagirolamo” poggiava l’altra gamba sul terreno veniva assalito dagli avversari i quali, tutti insieme, con forza si accanivano a colpirlo e a frustarlo con i loro “fazzoletti a nodo” fino a quando, dopo avere subito un’abbondante “mazziata”, lo sventurato non raggiungeva la sua casa, ove lo attendevano i suoi figli.

Ripreso fiato “Papagirolamo” annunziava la sua uscita da solo o anche con i suoi figli in modo che, perché in maggior numero, riuscivano, sempre saltellando su una sola gamba, tutti insieme, strategicamente, con accerchiamenti, a “catturare”, progressivamente, gli altri avversari che, nel momento dell’appoggio della seconda gamba a terra, si scatenavano a “mazziare” “Papagirolamo” e figli che - in “rotta”, panico e confusione – rientravano, precipitosamente alla “tana”.

 

 Il gioco dello “Schiaffo del soldato”

Una altro gioco anch’esso divertente e che implicava “mazzate” era quello dello “Scaffo”, molto praticato e meglio noto anche come “Schiaffo del soldato

Era un gioco probabilmente molto antico poiché se ne trova una generica testimonianza in Giulio Polluce, scrittore greco vissuto nel II sec. d.C, che così lo descrive nella sua opera “Onomasticon”: «Chi sta sotto si copre gli occhi con le mani e deve indovinare il compagno che lo ha colpito.»

Solitamente era praticato da un gruppo numeroso di giocatori tra i quali veniva estratto a sorte chi doveva "stare sotto". Il giocatore prescelto doveva stare con le spalle rivolte al gruppo, con una mano che gli impediva la vista posteriore e con l'altra, che passava sotto l'ascella e che sporgeva dalla spalla, attendere che arrivasse lo schiaffo sul palmo. Se indovinava veniva sostituito da chi aveva dato lo schiaffo.


“Guardie e ladri”

Il gioco di gruppo “Guardie e ladri” (vale a dire delle “uadiie e mariuoli”) era simile a quello del “nascondino”, rispetto al quale era più complicato ma altrettanto divertente.Era un gioco dalle origini antichissime, assai diffuso nel XVII secolo presso la corte francese che ha, come la maggior parte dei giochi infantili, numerose varianti e le regole applicate non sono le stesse ovunque.

Il principio fondamentale era la divisione dei giocatori in due squadre di cui una “inseguiva” e l’altra “veniva inseguita”.

Nella versione montellese i giocatori si dividevano in due squadre generalmente in numero diseguale, due o tre “ladri” per ogni “guardia”.

Prima dell'inizio del gioco le "guardie" si radunavano in un punto prestabilito, mentre i “ladri” si spargevano in giro.

Al segnale, le “guardie” si lanciavano all'inseguimento dei “ladri” cercando di catturarne il maggiore numero possibile.

Ogni ladro che veniva toccato o fermato da una guardia veniva portato in "prigione", un luogo prestabilito dove doveva rimanere.

Il “mariuolo” prigioniero restava confinato oltre la linea della prigione, e tendeva la mano verso i giocatori.

Se un altro “ladro”, senza farsi prendere, riusciva a toccare la mano del prigioniero, questo ritornava libero.
Oltre a variare in regole il gioco poteva mutare anche in ambientazione e diventare per esempio "indiani e cowboy", "tedeschi e partigiani", "banditi e carabinieri" o " briganti e guardie".

Il gioco di “Guardie e ladri” era altresì praticato dalle ragazze con qualche variate e con la denominazione di “Franca e libera”.

“Giochi con la corda”

Per i “Giochi con la corda” alle ragazze bastava una semplice corda per improvvisare giochi singoli o di gruppo.

Occorreva una corda lunga, almeno tre bambine e il gioco era fatto.

Due facevano girare la corda e le altre tentavano di saltarla senza inciampare.

La corda doveva essere saltata quando sbatteva sul terreno.

Chi inciampava sulla corda veniva eliminata.

Il gioco era molto semplice ma aveva bisogno di una grande concentrazione.

Quando la corda era corta si giocava da soli, saltando a piedi uniti o alternati, facendola girare attorno al proprio corpo.

“Giochi con la corda”


Il gioco dell’” elastico”, di solito era fatto dalle femminucce ma quando intervenivano anche i maschietti allora partivano delle vere e proprie sfide.

L’occorrente per giocare era un elastico abbastanza lungo da essere “indossato” alle caviglie di due giocatori per permettere ad un terzo di saltarci in mezzo.

Di solito vi era una filastrocca da cantare durante i salti, ogni giocatore aveva un suo modo per saltare nell’elastico e ad ogni turno le cose diventavano sempre più complicate

Per poter giocare con più giocatori e per fare delle sfide era necessario stabilire una sequenza di salti che doveva essere indicata ai partecipanti che doveva essere completata senza sbagliare. Si poteva accelerare il ritmo oppure tentare una combinazione più complessa alzando l’elastico.

Se il giocatore sbagliava, allora perdeva il turno e un altro partecipante prendeva il suo posto.


“Giochi con la corda”


Il gioco delle “mamme e delle signore”, dell’ “arrobba bandiera”, della “Palla a muro”, del “Girotondo”, della “Mosca cieca”, del “zomba cavallina”, di “Acqua, fuoco e fuochino”, dell’ “annaccui”, di “Tocco ferro”, di “Papagirolamo”, i “Giochi con la corda”, erano solo alcuni dei giochi di strada; l’elenco è lungo inglobando esso, tanto per citarne altri, il gioco del “Battimuro”, la “Campana”, quello delle “staccie”, di “Regina reginella”, dei ”tappi”, quelli con “la freccia”, con la “carrozza” , di “Strega comanda colore” e “Uno, due, tre stella!” e altri ed altri ancora di cui parlerò, se del caso, in una seconda e forse anche terza parte.

Obiettivamente, dopo l’iniziale “assaggio” introduttivo alla tematica dei “giochi di una volta”, mi rendo conto di aver già scritto abbastanza e ho consapevolezza dell’opportunità di sospendere, al momento, le mie argomentazioni, per riprenderle, come già detto, in altri momenti, sempre su Montella.eu.
In tal senso termino e dunque ……… alla prossima !!!

 

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Leggi anche:

- I giochi di una volta a Montella - Parte 2

- I giochi di una volta a Montella - Parte 3

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