Una vile aggressione 06Era tornato nella sua Mantella dopo 19 anni per incontrare la donna che sarebbe dovuta diventare sua moglie. Quella tra Salvatore Recupido, 35 anni, e Incoronata Maio era nata come una relazione epistolare, uno scambio di fotografie e null'altro, ma il matrimonio era stato presto combinato. Per Una vile aggressione 10lei aveva lasciato Norristown in Pennsylvania dove viveva sua madre Filomena Fierro e dove sarebbe presto tornato, una volta concluso quell'affare. Ma nulla era andato come previsto. I due giovani non si erano piaciuti e il matrimonio era andato a monte. Salvato­re si era presto fidanzato con un'altra donna, Elvira Lanzetta di Nusco e quanto prima sarebbero dovuti convolare a nozze per poi fare ritorno in America.
Era stata sua zia, Palma Fierro, ad ospitarlo in casa du­rante il soggiorno a Montella. A lei Salvatore aveva consegnato 28 biglietti americani di diverso taglio e una moneta d'oro per poi farseli restituire il mattino del 22 novembre. Voleva cambiare quel denaro ma gli avevano offerto troppo poco, appena venti lire a dollaro, una miseria, e così aveva stabilito di partire il giorno successivo col treno delle 5.37 per Napoli. Avrebbe cambiato lì le banconote. Il mattino del 23 novembre 1923, verso le 4.30, era uscito di casa, dirigendosi alla sta­zione di Mantella. Pioveva a dirotto quella mattina, Sal­vatore non aveva con sé nessun' arma, in un porta­monete di pelle nero, chiuso da bottoni automatici, i 28 biglietti e la moneta d'oro, in un portabiglietti il pas­saporto e quattro banconote italiane da lire cento. Sotto il braccio un involto contenente delle camice affidategli dalla zia Filomena Marinari, perché le Una vile aggressione 11portasse ad un altro nipote, Michele Fusco, guardia di finanza a Napoli.
Qualche ora dopo, lungo la strada che conduceva alla stazione, in via Serra, lo avevano trovato cadavere. Era stato aggredito e ucciso con un colpo contundente alla regione temporale-occipitale destra, probabilmente prodotto dal cozzo di una scure, che gli aveva letteralmente fratturato le ossa craniche.

Gli inquirenti avevano pensato immediatamente al furto, la giacca sbottonata, le tasche dei pantaloni rivoltate, ad un occhiello del panciotto un frammento di catena, segno che qualcuno gli aveva strappato l’orologio d’oro. Gli aggressori gli avevano, inoltre, sottratto il portamonete con i dollari americani e il portabiglietti con 400 lire italiane
A non molta distanza era stato ritrovato l'involto con le camice, probabilmente abbandonato dagli assassini dopo averne controllato il contenuto. I periti avevano, inoltre, riscontrato sul suo corpo una lesione al lato sinistro della fronte, escoria­zioni ed ecchimosi sul lato destro della fronte, del lab­bro, sul dorso delle mani, al ginocchio, probabile frut­to di una colluttazione. Tra le ipotesi, quella che fosse stato colpito mentre era riverso al suolo o ancora men­tre veniva trattenuto dagli aggressori.
Lo stesso giorno del delitto venivano arrestati Antonio Serrabocca e Generoso Camuso.

Il primo, amico dell'ucciso, era stato con lui a Filadelfia, dove si era conquistato in breve tempo una pessima fama, accusato di essere tra gli affiliati del clan della Mano Nera. Ad inchiodarlo i testimoni che lo avevano visto, qualche giorno prima del delitto, in compagnia del Recupido.
Una vile aggressione 14Gli aveva chiesto insistentemente un prestito, ottenendo, però, solo dieci dollari, cinque dei quali aveva subito cambiato in lire presso la locale Banca Popolare. Al momento dell'arresto gli erano stati trovati in tasca dieci dollari. Quanto a Camuso, era conosciuto in paese come pericoloso criminale. La sua abitazione distava poco dalla casa del Recupido. L’accusa rivolta al Serrabbocca e al Camuso era stata quella di aver tramato insieme l'omicidio, sapendo che l'indomani Salvatore avrebbe dovuto recarsi a Napoli per cambiare il denaro americano. Poi le parole del giovanissimo testimone Rosario De Stefano di 12 anni, che due giorni dopo il delitto aveva raccontato ai carabinieri di aver visto e riconosciuto gli assassini del Recupido.


“Il mattino del 23. Alle 5, stavo ritornando a casa dalla Masseria, che ha in fitto mio padre insieme a mia sorella, quando arrivato poco distante dalla salita della Serra, vidi un uomo che camminava con un fagotto sotto il braccio e l’ombrello. Poco lontano lo seguiva un gruppo di 5 uomini tra questi riconobbi Antonio Serrabocca, Generoso Camuso e Francesco Bruno, continuai a camminare in fretta fino a raggiungere palazzo Capone. Qui passai vicino al vaccaio Antonio Carbone, intento, insieme al garzone Domenico Gambale, a mettere i collari alle vacche da vendere in Puglia.
Ad un tratto ricordo di aver udito un forte grido proveniente dalla zona di Passo Serra dove avevo avvistato l'uomo. Anche Carbone e Gambale dovettero udirlo ma non si mossero, continuando ad occuparsi delle vacche. Pioveva a dirotto ma c'era la luce della luna che rischiarava la nottata, ecco perché ho potuto riconoscere i tre aggressori>>.Una vile aggressione 12 E proprio la sera prima si erano recati a casa sua la moglie e il figlio del Camuso, implorando di non raccontare nulla, fino ad arrivare a minacciarlo << Se dirai ciò non ti farò più camminare sulla terra». E alla fine le manette erano scattate anche per Gambale e Carbone, ritenuti complici nel delitto. A distanza di qualche tempo, Rosario ritrattava la sua versione, raccontando di essersi inventato tutto per paura di essere accusato del­l'omicidio. Non era bastato, però, ritrattare perché la sua testimonianza non fosse giudicata attendibile, sa colpire gli inquirenti erano stati infatti i riferimenti all’ombrello e al fagotto che Salvatore effet­tivamente portava con sé.
A mettere in discussione la versione di Rosario, erano stati gli stessi familiari, a cominciare dal padre e dalla so­rella che avevano raccontato come quella sera il ragazzo avesse dormito nella masseria, "uscendo a giorno fatto", molto tempo dopo l'ora del delitto. Probabile dunque che Rosario a­vesse ceduto a quel clima di minac­cia, più volte spaventato dai compae­sani per avere avuto il coraggio di raccontare quanto aveva visto.Una vile aggressione 13
I tre imputati, dal canto loro, avevano proclamato più volte la propria innocenza «Certamente - aveva spiegato il Serrabocca - avevo saputo che Salvatore doveva recarsi a Napoli. Avevo ottenuto da lui un piccolo prestito, i dieci dollari sequestrati. Quando ai cinque dollari che ha cambiato presso la banca posso giurare che erano miei >>Era stata la stessa Palma Fierro a riferire come più volte e in presenza di altri testimoni avesse sentito il nipote lamentarsi del prestito richiesto dal Serrabocca di cinque o seimila lire < Un giorno aveva raccontato che mentre era negli Stati Uniti, nel suo negozio, il Serrabocca stava addirittura per vibrargli un colpo di scure alle spalle. Scoperto con l'arma in pugno, aveva volto la cosa in scherzo. Altri testimoni avevano rivelato che il Serrabocca e il Recupido sarebbero, anzi, dovuti partire insieme. L’altra zia della vittima, Filomena Marinari alle ore 18.30, avendo veduto passare il Serrabocca davanti alla propria abitazione lo avevo chiamato più volte << Antò, se domani vai a Napoli, fammi il piacere di prenderti due camice che devo mandare a mio nipote. Se non vuoi portarle tu, di a mio nipote che se le venisse a prendere lui>>.
Se vuoi consegnarle a me – aveva risposto Serrabocca – me li puoi dare perché andrò a Napoli domani e se mi riesce di vedere questa sera Salvatore gli riferirò l’ambasciata. Quindi il Recupido era andato a trovare la zia e aveva ritirato le camice. Ma non aveva mai preso il treno per Napoli quella mattina del 23 novembre. Alle 6.30 si era recata al caffè di Carmela Milano e senza che nessuno glielo chiedesse, aveva cominciato a raccontare di essere stato alla stazione di Mantella ma di non avere fatto a tempo a prendere il treno per Napoli. Era stata la stessa Milano a sottolineare come il Serrabocca non fosse del suo solito umore «Appariva preoccupato, così gli chiesi che cosa avesse. Mi rispose di non sentirsi troppo bene. Bevve caffè, giocò a carte.
Appena apprese la notizia si recò sul luogo del delitto. A Roberto Ciardiello che gli aveva fatto notare come fosse pallido aveva risposto che era stanco poiché stato a lavorare alla stazione, a caricare un carretto di castagne». Nei giorni precedenti il delitto, inol­tre, più volte, si era recato al caffè della Milano affermando di dover partire per Napoli, senza però mai muoversi.
A confermare la sua versione la padrona di casa del Recupido che aveva sottolineato come Salvatore fosse uscito quando ormai era già giorno, alle 6.30, dicendo di volersi recare a prendere un caffè. Un alibi non mol­to diverso da quello del Camuso: «Quella mattina mi sono svegliato all'alba e sono uscita dalla mia abitazione intorno alle 6.30». Un alibi che però non lo scagionava completamente, se è vero che avrebbe potuto tranquillamente trovarsi in casa alle sei dopo aver com­piuto il delitto alle 5. Dalla sua abitazione, attraverso un giardino e poi scendendo degli scalini poteva raggiungere in breve tempo un terremo a pendio verso la strada che conduce a Cassano e poi tornare indietro. Quanto a Francesco Bruno, aveva riferito di non aver mai conosciuto il Recupido e di non sapere nulla della sua partenza per Napoli.
Altri due saranno, poi, i nomi che emergeranno nel corso delle indagini quello di Rocco Gambone e Tommaso Lambertini, sui quali non saranno mai raccolte prove sufficienti così come non sarà possibile dimostrare la complicità di Gambale e Carbone.
Sarà lo stesso fratello di Rocco Gambone, Nicola, ad avanzare dei sospetti su Rocco <Correva a più non posso. Diede un calcio la porta per fare presto. Ero già sveglia quel giorno poiché dovevo recarmi in montagna a fare legna. Lo stesso Andrea Gambone mi aveva raccontato di aver intravisto quella mattina, nel recarsi in piazza a prendere il caffè, Rocco scavalcare un muro e correre. Ricordo che la moglie del Nicola invitò il marito a tacere, dicendo che parlare in questo modo poteva essere pericoloso.
Da quel che mi risulta, Rocco possiede molto denaro, che non può che provenire da delitti e rapine, poiché non ha mai lavorato.
Lo vidi spesso in compagnia del Cefalo, come viene chia­mato il Serrabocca, passeggiare per via Fontana o starsene in una bettola>>. La sentenza della Corte d’Assise di Avellino del 5 agosto condannava Antonio Serrabocca a ventuno anni di reclusione e tre di vigilanza speciale. Il Camuso, il Bruno e gli altri imputati venivano, invece, assolti.