Matteo Fierro era un cugino al quale ero legato non solo per parentela ma, anche e soprattutto perché suo lontano amico d’infanzia e perché con lui avevo, inoltre, condivisione di principi, visioni di vita e modi d’essere. Aveva un carattere bello, simpatico, che ho imparato a conoscere ed apprezzare sin dalla nostra lontana infanzia, quando, con suo fratello e gli altri suoi cugini, passavamo i nostri pomeriggi, nel grande cortile prospiciente il “Cinema Fierro”, in giochi vari, fantasiosi e soprattutto in lunghe ed appassionanti partite di “calcetto”.
In passato, in costanza soprattutto di
eventi particolari, siamo stati assai vicini; poi le contingenti circostanze della vita (che ci hanno spinto, per motivazioni familiari, lontano da Montella, in città e finanche in regioni diverse) hanno diradato la nostra reciproca frequentazione.
Dopo anni, quando seppi che era stato male, andai a trovarlo a Montella, a casa sua e in quella occasione lo trovai profondamente mutato evidenziando egli, in forma oggettiva, tutte le contrarietà e le avversità da lui, fino ad allora, subite e patite.
In quell’incontro e quelli successi mi resi conto che, al di là del “vedersi e sentirsi”, i sentimenti e l’affetto che ci legavano erano rimasti identici, anzi si erano consolidati in qualità valoriali assai consistenti.
Negli ultimi tempi vedevo Matteo mutato, sofferente, per certi versi sfiduciato per lo stato non soddisfacente della sua salute nonché ormai rassegnato a tutte le conseguenzialità derivanti dal suo cuore malato.
Questo suo stato era a me inconcepibile soprattutto considerando la sua lunga “carriera” sportiva, di giocatore di calcio e dunque allenato a sforzi atletici impegnativi.
Ricordavo infatti la sua lunga esperienza di giocatore di calcio, quando, nel suo pieno rigore atletico, sia nel campo sportivo di Montella sia in trasferta, aggirava gli avversari e, con travolgenti e veloci azioni, inforcava, con forza e prepotenza, il pallone nella rete della porta avversaria.
Matteo, in quel tempo, era una “forza incontenibile” che, con il suo essere, riusciva a dare allegria, a contagiare simpatia.
Era proprio il suo cuore, di persona “speciale” e di sportivo, che gli consentiva di essere amichevole con tutti, generoso, disponibile, con la battuta pronta, ironico e disincantato, schietto, senza ipocrisie e di trascinare le persone che gli erano vicine nell’entusiasmo, nella cordialità.
Matteo sapeva farsi voler bene da tutti, sapeva stare in compagnia ed era un “animatore” dello stare in allegria e in convivialità.
Straordinarie erano poi le serate trascorse, in anni assai lontani, in cui, Matteo, nel corso di qualche cena, in una cornice di affetti e di amici, raccontava (con brio e con un repertorio quanto mai vario) barzellette originali, esilaranti e divertentissime.
Rivedo ancora il suo sorrisetto soddisfatto e malizioso con cui “vigilava” l’esito della sua “barzellettata”.
E’ quello stesso sorriso che è ben ripreso e fissato in quella sua foto che, qualche settimana fa è stata “postata” su Facebook.
E’ dunque con questa immagine che io ricorderò Matteo Fierro, caro compagno dei giochi d’infanzia, amico affettuoso, persona generosa e sincera nonchè mio carissimo cugino.
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